Tranquillo borghese ma anche un po’ dandy. Bello ed elegante con la passione per le auto, però taciturno, discreto, persino un po’ malinconico. Tombeur des femmes eppure legato in modo inossidabile ad un’unica donna, Berthe, di cui sopporta il carattere ombroso e misantropo che finisce con il condannarlo alla solitudine. Amato e apprezzato dalle famiglie illustri della Parigi bene che gli chiedevano di adornare i loro scintillanti saloni, disprezzato dal suo contemporaneo Picasso e dalla stessa critica che riusciva a leggervi quasi soltanto un decoratore. A lui, Pierre Bonnard, a sua insaputa forse l’ultimo degli impressionisti, certamente pittore dell’intimità a tutti i costi, anche a quello della menzogna, il Musée d’Orsay ha dedicato una grande esposizione che ripercorre tutte le fasi della sua opera, dalla giovinezza influenzata dall’arte giapponese, il suo debutto con i Nabis, la scoperta della natura, il gusto mai sopito per quelle cose di tutti i giorni in cui si svolgeva la sua vita, infine i grandi pannelli in cui esplode l’universo di Bonnard, immerso nel sogno pastorale e utopico, in costante fuga dalla modernità. Con oltre 100 dipinti e numerose fotografie tratte dall’album di famiglia, la mostra ‘‘Pierre Bonnard. Peindre l’Arcadie’’, aperta fino al 19 luglio sulla Quai d’Orsay a Parigi, propone la scoperta di un grande maestro rimasto un po’ ai margini della vita culturale e artistica della prima metà del secolo scorso, sia per il suo carattere schivo, sia per la sua reputazione di pittore borghese e decorativo. Grazie anche a prestiti eccezionali, quali il trittico Mediterranée, che molto raramente lascia l’Hermitage di Pietroburgo, o La Cheminée, proveniente da una collezione privata, così come grazie al restauro delle quattro Femmes au jardin, la spettacolare retrospettiva del Musée d’Orsay apre un confronto con uno dei fondatori dell’arte moderna e contemporanea.
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