Il nuovo record storico del debito pubblico segnato dal governo Renzi, coincidendo con la mancata crescita del Pil, rappresenta anche il nuovo record negativo nel rapporto debito/Pil, peggiorato di oltre tre punti solo negli ultimi dodici mesi. Ecco i risultati di due anni e mezzo con il Pil che è salito di una dozzina di miliardi, e il debito è aumentato di 145 miliardi, dodici volte di più. Da quando Matteo Renzi è salito a Palazzo Chigi al posto di Enrico Letta, ogni mese, ogni italiano vede aumentare il proprio fardello del debito pubblico di 89 euro. Il conto alla fine lo pagheranno gli italiani. Da quando fu fatto fuori l’ultimo governo espresso dal voto degli elettori il Pil è sceso del 3,7%, il debito è salito di 340 miliardi e il rapporto debito/Pil è passato dal 116% al 136%. Il rapporto del Centro Studi di Confindustria stima il basso profilo che terrà il Paese nei prossimi due anni, limando dello 0,1% al ribasso le previsioni del giugno scorso: +0,7% nel 2016 e +0,5 nel 2017. Crescita piatta e insoddisfacente nel prossimo biennio. Una debolezza superiore all’atteso che segue l’arresto della risalita registrata nella primavera scorsa, dicono gli economisti di Viale dell’Astronomia. E gli ultimi indicatori congiunturali non puntano ad un rapido riavvio, piuttosto confermano il profilo piatto e la crescita prevista nel 2017, sebbene già del tutto insoddisfacente, non è scontata e va conquistata. C’è un forte aumento dell’incertezza economica cui si aggiunge una evidente incertezza politica su cui pesa l’esito del prossimo referendum costituzionale. Nonostante una crescita del Pil piatta l’occupazione salirà dell’1% nel 2016 e dello 0,5% nel 2017, stima il Centro Studi, sottolineando che si tratta di un risultato stupefacente spiegato dal forte aumento di posti di lavoro che si è concentrato nei primi sei mesi del 2016 ma che da lì in poi, però, si smorzerà con la bassa crescita del Pil. Si stima infatti che le ULA (Unità Lavorative per Anno) torneranno alla fine del prossimo biennio a 23,9 milioni: 730mila unità sopra al minimo di fine 2013 ma ancora 1 milione e 280mila unità sotto il livello precrisi del 2008. Secondo il rapporto del Centro studi di Confindustria, è un quindicennio perduto quello che il Paese si lascia alle spalle in termini di avanzamento economico. Per questo slitta in avanti anche il ritorno ai livelli pre-crisi: ai ritmi attuali di incremento di Pil, infatti, l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007 è rinviato al 2028 mentre non verrà mai riagguantato il sentiero di crescita che si sarebbe avuto proseguendo con il passo precedente, anche se lento. Le stime del governo potrebbero essere migliori di quelle del Centro Studi Confindustria fa sapere il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: ‘La stima del Csc si basa su ipotesi di policy che sono diverse da quelle che il Governo intende proporre. Io prendo le stime del Csc non come una polemica ma come una sollecitazione’. Non riusciamo a schiodarci dalla malattia della bassa crescita di cui soffriamo dall’inizio degli anni Duemila, avverte il capo economista di Confindustria, Luca Paolazzi. I dati mostrano come prima, durante e dopo la Grande Recessione (in Italia più intensa e più lunga) si è accumulato un distacco molto ampio con altri Paesi Ue. Tra 2000 e 2015 il Pil è aumentato in Spagna del 23,5%, Francia +18,5%, Germania +18,2%. In Italia è calato dello 0,5% e con le dinamiche in corso i gap aumentano oggi ancor più rapidamente. Senza flessibilità si rischia una manovra correttiva da 1 punto di Pil. Il deterioramento del quadro macro comporta un peggioramento del deficit e, a parità di obiettivo (ad oggi per il governo è 1,8% nel 2017) richiederebbe uno sforzo maggiore. Per questo è assolutamente necessario negoziare margini di flessibilità aggiuntivi. Per il Centro Studi nel 2016 la crescita si ferma allo 0,7% e nel 2017 allo 0,5% con deficit al 2,3%, che richiederebbe una manovra complessiva sui saldi di 16,6 miliardi.