In 25-30 anni, dal 1990 a oggi, l’Italia si e’ mangiata tutto il Miracolo economico: a partire dagli Anni Novanta abbiamo di fatto smesso di crescere e si e’ cosi’ allargato il divario con i nostri piu’ vicini partner, a partire da Gran Bretagna, Germania e Francia. Poi abbiamo subito le conseguenze della crisi finanziaria del 2008 da cui non ci siamo ancora completamente ripresi, soprattutto a causa dell’alto indebitamento che ha limitato il nostro spazio di manovra e non ci ha consentito di reagire. Per questo il nostro reddito pro-capite e’ tornato ai livelli del 2000. Siamo un Paese fermo, seduto, che si e’ impoverito, con una classe dirigente che, indipendentemente da ogni colore politico, non sembra aver preso pienamente coscienza del problema. E questo e’ il nostro vero limite attuale. Cosi’ l’economista Luigi Guiso, ordinario di Economia all’Universita’ Tor Vergata di Roma, commenta all’Agi i recenti dati dell’Ocse, secondo cui il tenore di vita degli italiani e’ fermo, e’ tornato quello di quasi 20 anni fa e l’Italia e’ l’unico Paese avanzato il cui Pil pro capite e’ arretrato tra il 2000 e il 2018. “Sostanzialmente – spiega Guiso – siamo un Paese fermo al 2000, un Paese che sta subendo un lunghissimo periodo di stagnazione del livello di reddito, dopo aver patito un lungo periodo di stagnazione della crescita, il che significa che siamo cresciuti meno degli altri. Diciamo che dobbiamo tener conto di due fattori. Dal 2008, a partire dalla crisi finanziaria, l’Italia ha perso terreno in termini assoluti, anche a livello di reddito pro-capite, ma gia’ prima perdeva in termini relativi rispetto agli altri paesi. Se allunghiamo lo sguardo e guardiamo al reddito degli italiani a partire dal Dopoguerra, quello che emerge sono due periodi, due fasi storiche diverse. C’e’ il Miracolo economico, che finisce all’inizio degli anni Novanta, in cui l’Italia aveva recuperato tutto il gap di reddito pro-capite che aveva rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna. Nei primi anni Cinquanta l’Italia era sotto il livello di reddito soprattutto del Regno Unito di circa 50-40 punti percentuali. Durante il Miracolo economico e negli anni Settanta-Ottanta, grazie al fatto che cresceva molto piu’ di questi Paesi, li ha raggiunti e in alcuni anni li ha superati. A partire dagli anni Novanta l’Italia ha smesso di crescere alla stessa rapidita’ in cui crescevano questi Paesi e da allora e’ iniziato un lento periodo di declino relativo. Oggi l’Italia e’ 40 punti sotto il livello di reddito pro-capite di Germania, Francia e Regno Unito. Quindi diciamo che negli ultimi 25-30 anni ci siamo mangiati tutto il Miracolo economico. Siamo tornati, in termini assoluti, ai livelli di reddito del 2000 e in termini relativi, rispetto a questi Paesi, ai livelli dei primi anni Sessanta”.
Quanto ha pesato la crisi finanziaria del 2008? “Da quella crisi l’Italia sostanzialmente non si e’ mai ripresa. I livelli di reddito, di produzione e di attivita’ pre-crisi del 2007 non sono piu’ stati raggiunti. La nostra economia e’ ancora in fase di recupero e quest’anno, con la recessione in corso, questa lenta ripresa si e’ arrestata e probabilmente subiremo un ulteriore calo. Il motivo descrittivo del perche’ il reddito medio degli italiani e’ tornato ai livelli del 2000, dipende dal fatto che durante la crisi l’Italia e’ stata colpita duramente e poi non e’ riuscita a reagire in modo adeguato”. E come spiega che gli altri Paesi si siano ripresi e l’Italia no? “La principale ragione e’ il fatto che l’Italia e’ entrata nella crisi con un fardello di debito molto elevato, che non ci ha consentito di reagire, come si fa normalmente in queste circostanze, per esempio espandendo la spesa, ricapitalizzando le banche, avviando politiche anticicliche, cioe’ adottando misure che avrebbero potuto attutire il colpo della crisi. Ricordo che all’epoca la crisi veniva negata, si diceva che era in America anziche’ in Italia. Ebbene negli Usa il Pil e’ calato di 1,5-2 punti percentuali, mentre da noi nel 2008-09 l’Italia ha perso il 6%. Il punto e’ che noi non avevamo strumenti per operare perche’ non avevamo piu’ spazi di manovra fiscali a causa del debito troppo alto. Per evitare il rischio dei contraccolpi finanziari, cioe’ per difenderci dall’aumento dello ‘spread’ siamo rimasti inattivi. Il prezzo che abbiamo pagato e’ stato una forte calo del reddito, una perdita dei livelli di attivita’ produttiva. Ad oggi i tassi di crescita del Paese sono molto bassi, insufficienti per tornare a recuperare i livelli pre-crisi. Siamo un Paese fermo al 2000 e adesso siamo al 2019”.
Tutta colpa del debito, dunque? “Non e’ un problema di colpa. L’alto indebitamento e’ un fattore che ha contribuito ad aggravare la crisi del 2008, ma non e’ l’unica fonte dei nostri problemi. Sicuramente non spiega il declino dell’Italia in termini di mancata crescita economica negli Anni Novanta. Capire perche’ siamo un Paese che non cresce piu’, che si e’ completamente seduto, e’ un problema complesso, che richiederebbe un esercizio collettivo di riflessione, sicuramente come classe dirigente ma anche come opinione pubblica. Al momento, a livello di classe dirigente, non ci siamo, non abbiamo ancora preso coscienza di quello che accaduto in Italia negli ultimi 30 anni. Ci diamo da fare per trovare dei capri espiatori: il livello di debito, le colpe dei diversi governi, la scarsa produttivita’, i difetti della burocrazia… Ma la realta’ e’ che ci troviamo di fronte a una situazione complessa, che non si e’ determinata per effetto di un’unica causa, la quale richiederebbe uno sforzo collettivo che dovrebbe consentirci di pensare bene alle dinamiche che si sono determinate e di porvi rimedio. Sicuramente non e’ possibile cavarsela con una battuta. La prima operazione da fare e’ quella di documentarsi, di prendere coscienza dei fatti”. L’Ocse ha denunciato anche i divari regionali di reddito pro-capite: c’e’ un’Italia che cresce e un’Italia che va indietro, un’Italia ricca e un’Italia povera. Cosa ne dice? “E’ vero, ma non e’ una prerogativa soltanto dell’Italia. Le differenze regionali si sono acuite in molti altri Paesi, a partire dalla Gran Bretagna, dove adesso c’e’ molta piu’ polarizzazione geografica di quanta non ce ne fosse negli anni Settanta e negli anni Ottanta. Dipende dalla globalizzazione, ci sono aree che beneficiano notevolmente dell’apertura dei mercati, penso all’area metropolitana di Londra, per esempio, mentre in Gran Bretagna ci sono aree come quelle delle periferie industriali piu’ povere che risentono negativamente della globalizzazione e subiscono la deindustrializzazione. Anche l’Italia risente in modo analogo della globalizzazione. Molte fabbriche, specie quelle manifatturiere del Sud, si sono arenate, mentre ci sono altre aree del paese, tecnologicamente piu’ attrezzate, che hanno una maggiore capacita’ di resistere alla pressione competitiva, che stanno reagendo, si sono innovate, hanno trovato nuovi mercati di sbocco. Anche tutto questo fa parte della sfida in atto”.