Milioni di notifiche di pagamento delle cartelle esattoriali potrebbero essere annullate perché la pec dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione potrebbe non essere valida. L’indirizzo di posta elettronica certificata dal quale il Fisco invia gli atti non sarebbe infatti iscritto nei registri pubblici, come invece dovrebbe essere per legge, e per questo alla Commissioni tributarie di tutta Italia stanno arrivando centinaia di ricorsi. Ma sulla questione la giurisprudenza non è concorde e la norma di riferimento è stata interpretata dai giudici con pronunciamenti diversi da caso a caso.
Pec dell’Agenzia delle Entrate non valida: la norma
La legge che disciplina l’invio delle notifiche telematiche è la 53/1994, secondo la quale, all’articolo 3 bis, gli atti possono essere trasmessi “esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che compare negli elenchi pubblici“.
La norma stabilisce inoltre che nel caso in cui l’atto dovesse arrivare da un’email non ufficiale, è da considerarsi “inesistente”.
Gli unici registri considerati validi, come stabilito nella legge n. 221/2012, sono tre: Ipa, Reginde e Inipec.
Il principio è quello di tutelare il destinatario da eventuali tentativi di phishing con il conseguente rischio di subire furti di dati personali o appropriazione di account e conti correnti.
Il contribuente che riceve un atto da un ente dello Stato deve dunque avere la possibilità di controllare che la comunicazione ricevuta provenga da una e-mail autenticata per evitare di cadere nella trappola dei criminali informatici che spesso utilizzano per le loro truffe indirizzi simili a quelli delle istituzioni e di amministrazioni pubbliche, camuffando il messaggio in avvisi ufficiali,
Per questo centinaia di persone che hanno ricevuto le notifiche di pagamento da altri indirizzi che non fossero quelli indicati nei registri stanno adesso facendo ricorso.
Pec dell’Agenzia delle Entrate non valida: i casi
Un caso emblematico per tutti è quello di un imprenditore della provincia di Assisi al quale l’Agenzia delle Entrate gli ha notificato 71 cartelle esattoriali, tra il 2005 e il 2019, per un totale di un milione e 400 mila euro utilizzando un indirizzo pec non presente dei pubblici registri: nello scorso maggio la Commissione tributaria di Perugia ha deciso di annullare l’intero debito con lo Stato, in quanto quelle cartelle non sono mai state notificate in maniera corretta e dunque è come se l’imprenditore non le avesse mai ricevute.
Ancora più recente è l’esempio della sentenza di luglio della Commissione tributaria di Napoli che ha annullato una cartella esattoriale perché inviata dall’indirizzo non ufficiale “notifica.acc.campania@pec.agenziariscossione.gov.it” invece di quello iscritto al registro, “protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it”.
Di contro, la difesa degli enti di riscossione si basa sull’articolo 26 del decreto del presidente della Repubblica 602/1973 (modificato più di recente nel 2017), dove si specifica che è l’indirizzo pec del destinatario a dover essere presente nei registri pubblici, mentre non viene precisata la condizione dell’indirizzo email di chi notifica.
Sul tema si è però espressa la Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 3093 del 2020, stabilendo che “la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”.