Politica odierna tra sondaggi e proiezioni elettorali delle coalizioni

FdI a meno di un punto dal Pd e quasi tre punti sopra la Lega registra la crescita maggiore tra tutti i partiti. È la fotografia del gradimento dei partiti scattata dalla Supermedia di YouTrend per l’Agi, che mette insieme gli ultimi sondaggi e dalla quale «emerge – si legge nel resoconto dell’agenzia di stampa – un quadro ancora più chiaro degli effetti della “partita Quirinale”».

In particolare, per quanto riguarda i partiti la Supermedia colloca ancora il Pd al primo posto, con il 21,1% dei consensi in calo dello 0,2% dalla rilevazione precedente del 27 gennaio. FdI, al secondo posto, accorcia la distanza, che ormai è inferiore al punto percentuale rispetto ai dem. Il partito di Giorgia Meloni raggiunge il 20,2%, in crescita dello 0,8% rispetto a due settimane fa. Di contro, si allarga la forbice con la Lega, che ormai è di quasi tre punti: il Carroccio scende al 17,5%, perdendo lo 0,8%. Dunque, anche la Supermedia conferma quanto era già emerso, per esempio, dal sondaggio Swg per Mentana. Pressoché stabile il M5S che perde lo 0,1% e si attesta al 14,4%. C’è da sottolineare, però, che i sondaggi presi in considerazione dalla Supermedia nella maggior parte dei casi sono stati realizzati prima del terremoto che ha investito i pentastellati negli ultimi giorni.

Al quarto posto si trova Forza Italia con l’8,1% dei consensi, in calo dello 0,3% rispetto alla rilevazione precedente; Azione/+Europa perdono lo 0,4% e scendono al 4,3%; cresce, invece, Italia Viva, che guadagna 0,8 punti e arriva al 3%. Un risultato che, secondo l’Agi, «si deve forse all’attivismo di Renzi proprio durante i giorni che hanno portato alla rielezione di Mattarella». A seguire si trovano i Verdi al 2,4% (+0,1), Sinistra Italiana 2,1% (+0,2), Art.1-Mdp 1,6% (-0,1).

Per quanto riguarda le coalizioni, con riferimento a quelle esistenti alle politiche del 2018, la Supermedia conferma che il centrodestra è maggioranza, con una crescita dello 0,9% trainata dallo 0,8% di FdI. In totale la coalizione ottiene così il 48,3% dei consensi, mentre il centrosinistra si ferma a un 28,3% che pure se sommato al 14,4% del M5S non basta: i giallorossi, infatti, si fermano al 42,7%.

Il Pd assistendo alla dissoluzione del M5S, sceglie di non scaricare Di Maio e di ammonire Conte, mentre intanto guarda al centro, a Calenda, a Renzi, per paura di ritrovarsi con l’alleanza a pezzi da qui alle prossime elezioni. “Si comincia a pensare al forno di centro, ora che il forno M5S è bloccato e rischia di spegnersi per l’esplosione della bottega. La paura del Nazareno è che dal big bang stellato possa uscire un movimento 5 stelle assai ridimensionato, il grillismo con cui Enrico Letta ha voluto fare asse finora non si capisce se esiste ancora e che cosa potrà diventare dopo la soluzione, ammesso che ci possa essere, del caso della defenestrazione giudiziaria di Conte”, scrive Il Messaggero.

Sul Corriere della Sera è stato il capogruppo del Pd al Senato, Giuseppe Zanda, ad ammonire Conte e i Cinquestelle a non giocare allo sfascio o all’esclusione di Di Maio. “Giuseppe Conte ha ragione quando dice che una leadership politica non dipende dalle carte bollate. Ma lui è un giurista e dovrebbe sapere bene che anche i partiti debbono avere regole chiare e rispettare le decisioni dei giudici. Questa vicenda ci fornisce anche un importante spunto di riflessione politica…”, è la prima frecciata velenosa del Pd a Giuseppi.  Zanda prosegue dettando anche la forma al M5S: “È tempo di chiedersi se per la nostra democrazia siano più utili movimenti come i 5 Stelle delle origini o se piuttosto non serva un’evoluzione verso partiti politici strutturati democraticamente così come li ha disegnati la Costituzione. I partiti sono necessari alla democrazia parlamentare e l’ordinanza di Napoli dovrebbe indurre il Parlamento. Abbiamo quattordici mesi di tempo e dovremmo concentrarci su questo e su altri due obiettivi: la sfiducia costruttiva e la riforma elettorale”.

Ma è sul corpo a corpo tra Conte e Di Maio che arriva l’anatema più invasivo. “Oggi la leadership è di Conte, Di Maio sta facendo bene il ministro degli Esteri. Tutti i diplomatici italiani che ho incontrato lo apprezzano molto. Quindi si vedrà. Penso che i 5 Stelle non possano fare a meno di Di Maio. Sarebbe surreale sacrificarlo. Sta a Conte impedire che un incidente giudiziario così serio produca effetti politici rischiosi. I 5 Stelle hanno la maggioranza relativa in Parlamento e i loro fatti interni si riflettono inevitabilmente sulla stabilità del governo. Dobbiamo augurarci che risolvano velocemente i loro problemi”.

Nel M5S la battaglia è iniziata. E si parla di resa dei conti ormai prossima, se non addirittura di scissione. Sulla rissa tra contiani e dimaiani, cala anche il giudizio sferzante di Alessandro Di Battista, un ex M5S il cui parere pesa ancora molto nel Movimento. Si è schierato con Conte, ha accusato Di Maio di vigliaccheria.

Se ricordiamo i primi giorni di febbraio Marco Travaglio ospita sul Fatto l’intervista all’ex premier, che si toglie molti sassolini dalle scarpe dopo la querelle della rielezione di Mattarella al Quirinale. Con l’abile regìa di Travaglio, Conte attacca quello che nella pagina accanto viene definito “il bibitaro…”

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