“In qualità di Membro del Consiglio di Amministrazione della Società dello Stretto di Messina S.pA., desidero approfondire ulteriormente alcuni aspetti cruciali relativi al progetto del Ponte, includendo anche il tema degli espropri e non solo la sicurezza. Il nostro impegno nella realizzazione del Ponte di Messina non riguarda solo la sicurezza strutturale e la stabilità dell’opera, ma anche la gestione responsabile degli espropri che potrebbero essere necessari per la sua costruzione. È importante sottolineare che gli espropri, se necessari, verranno condotti nel rispetto delle leggi vigenti e nel pieno coinvolgimento delle comunità interessate. Il nostro obiettivo è garantire che ogni passo del processo sia trasparente e equo, rispettando i diritti e le necessità dei cittadini coinvolti”. Così, in una nota, Giacomo Francesco Saccomanno, Membro del Consiglio di Amministrazione Società dello Stretto di Messina S.P.A.
“La questione degli espropri è delicata e richiede un approccio attento e rispettoso. Ci impegniamo a collaborare con le autorità competenti e con le parti interessate per affrontare questa fase con sensibilità e professionalità. Parallelamente alla questione degli espropri, ribadisco il nostro impegno per la massima sicurezza e stabilità del ponte. Gli studi condotti dai nostri esperti confermano che la struttura è progettata per resistere a qualsiasi sollecitazione, inclusi eventi sismici. Il Ponte di Messina non è solo un’opera infrastrutturale, ma un progetto che mira a promuovere lo sviluppo economico e sociale della regione”.
“Siamo consapevoli delle sfide e delle responsabilità che comporta la realizzazione di un’opera di tale portata, e ci impegniamo a gestire ogni aspetto con attenzione e rigore. In conclusione, la Società dello Stretto del Ponte di Messina affronta con determinazione e responsabilità non solo la questione della sicurezza strutturale, ma anche quella degli espropri necessari per la realizzazione dell’opera. Siamo fiduciosi che, con il supporto delle comunità interessate e il lavoro dei nostri esperti, il Ponte di Messina diventerà non solo un simbolo di progresso, ma anche un esempio di buone pratiche e collaborazione”, conclude Saccomanno.
Nel dibattito intorno al Ponte sullo Stretto, c’è un protagonista che dovrebbe distribuire la parola al tavolo e invece è il convitato di pietra: l’Architettura. E non è un caso che di questa opera colossale quasi nessuno ricordi l’autore, l’ingegnere inglese William Brown, progettista di ponti sospesi più autorevole al mondo. Ridotto da tempo a tema da talk show, simbolo dell’approccio ideologico al futuro, “il Ponte a campata unica più lungo del mondo” sembra essere ovunque meno che dove dovrebbe: negli interventi dei professionisti più titolati a parlare, se non altro, delle questioni progettuali e costruttive».
Meraviglioso l’attacco dell’approfondimento dedicato al Ponte sullo Stretto di Messina, pubblicato da “Interni”, una delle più importanti riviste specializzate nazionali di Architettura e Design, edita da Mondadori Media Spa. Ed è altrettanto significativa la metafora che segue: «È come se a un certo punto il relatore principale di un convegno avesse deciso di sparire senza neanche parlare, portandosi via le slide e il microfono». E il senso della riflessione di alcuni tra i più prestigiosi architetti italiani è tutta in un interrogativo: «C’è ancora spazio per una discussione laica, in cui gli architetti e l’Architettura si riprendano il proprio posto?». A chiederselo, tra gli altri, un volto molto conosciuto tra le due sponde dello Stretto, Alfonso Femia, architetto di origini calabresi, co-fondatore, assieme alla docente universitaria messinese Francesca Moraci, della Biennale dello Stretto e componente della Commissione di studio sul Ponte che supporterà il Comune di Villa San Giovanni. Femia cita Micromega che tirava in ballo il George Simmel di ‘Il ponte e le porte’. “In quel testo del 1909 – spiega Femia – il filosofo tedesco descrive che cosa succede quando un’opera assume un valore che trascende il senso pratico per assumerne uno estetico. Chiaramente Simmel non si riferisce al nostro ponte, tuttavia il suo pensiero può essere assunto come una possibile interpretazione della sua metastoria. È proprio questo il punto: il ponte sullo Stretto di Messina è diventato un tema in sé, che trascende il significato di ‘unione del separato’”.
“La risposta al Ponte – aggiunge Femia – non sta in un sì o in un no urlati. La mia non è una posizione agnostica, penso che sia necessario considerare tutti gli aspetti e sacrificare, proprio in ragione del superamento dell’urlato, il minor numero possibile di domande. Se, da una parte, l’architettura e l’ingegneria hanno nel loro Dna l’obiettivo di addomesticare, conciliare, trasformare l’ambiente naturale, dall’altra – particolarmente l’architettura – non possono affrancarsi dalla responsabilità di comprendere le sensibilità individuali e collettive che le alimentano nei processi di sviluppo territoriali. È, dunque, fondamentale valutare responsabilmente quanto il ponte potrebbe pesare sul piano culturale, se più ferita e separazione che connessione. Il percorso che conduce al Ponte deve includere prioritariamente un approfondimento culturale e sociale, deve tendere a un buon equilibrio, alla valorizzazione territoriale a scala mediterranea, ed è questa una ricerca che potrebbe portare alla consapevolezza di un tempo già superato”.
Altro intervento alla rivista è quello di Mario Cucinella, il quale ammette che sull’argomento Ponte gli architetti latitano: “Mi sembra evidente come la vicenda Ponte sia l’ennesimo capitolo di quel romanzo di non amore dell’Italia verso il progetto e i progettisti. Abbiamo delegato quest’opera colossale a una società privata (il general contractor Eurolink partecipato dalle italiane WeBuild, Condotte d’Acqua, Cmc e Consorzio Aci, dalla spagnola Sacyr e dalla giapponese HI, ndr), senza neanche preoccuparci di capire come cambierà la vita delle comunità che abitano le aree intorno all’opera. Messina, Reggio Calabria e l’intera zona dello Stretto dovrebbero lavorare a piani urbanistici coerenti con il progetto, ma su questo, lontano dalle terre interessate, nessuno spende una parola”.
“Perfino sull’aspetto più sfidante dell’opera, quello dell’unica campata in un territorio ad altissimo rischio sismico, è stato scelto di procedere a senso unico, quando invece era possibile raccogliere per le vie ufficiali più idee e metterle a confronto in maniera aperta, costruendo intorno un dibattito serio. Questo procedere blindato, che dà tutto per scontato, sta finendo per farci perdere un’occasione enorme: trasformare quest’opera nel pretesto per alzare il tiro della ricerca progettuale, mettere ordine a questioni cruciali come quella che riguarda il ruolo dell’architettura in un Paese dove, per esempio, non si fanno più concorsi. Vorrei essere ottimista, ma purtroppo non ci riesco“.
Massimo Roj, architetto e amministratore delegato di Progetto Cmr, va dritto al punto. “Non ho mai amato gli approcci ideologici: sono per il fare. E credo che il Ponte vada fatto non solo perché necessario, ma anche perché figlio di una tradizione d’eccellenza del pensiero progettuale italiano, quello dei Morandi e dei Musmeci, dei Nervi e dei Piano. Certo, lo sguardo contemporaneo al futuro con il suo carico di distopie non aiuta a guardare lontano, ma non posso che domandarmi per quale motivo dovremmo considerare con sfiducia le capacità delle aziende candidate a costruire l’opera, le stesse che all’estero realizzano progetti forse ancora più complessi”.
«Sì ma prima di quello… bisogna fare questo». «No, c’è ben altro da realizzare». «Sì, ma tanto non lo faranno mai». «No, altrove possono farle, le grandi opere, ma qui no…». Ecco, il sì dei benaltristi e il no dei contrari. Una delle obiezioni, a lungo ripetute e da più parti, alla costruzione del collegamento stabile nello Stretto, è che in Sicilia esistono collegamenti ferroviari “ottocenteschi” e che non c’è nulla, e che i soldi del Ponte vengono sottratti ad altre preziose infrastrutture.
Su questo punto, a smentire con la forza dei dati e dei numeri, è il Gruppo delle Ferrovie dello Stato che, mai come in questi ultimi anni, ha pianificato, programmato e avviato una serie di investimenti così cospicui da trasformare radicalmente il sistema ferroviario dell’Isola, se si avrà la pazienza di far completare i cantieri.
«La Rete regionale siciliana è oggetto di importanti e significativi interventi di potenziamento infrastrutturale e tecnologico, che confermano la centralità della Sicilia nel piano di investimenti di Rfi e determineranno ripercussioni positive sul trasporto ferroviario sia regionale sia a media e lunga percorrenza, migliorando gli standard di regolarità, puntualità e sicurezza del traffico ferroviario. Gli interventi in corso e quelli programmati lungo l’itinerario Messina-Catania-Palermo consentiranno di innalzare la velocità fino a 250 km/h e la conclusione per fasi permetterà progressive riduzioni dei tempi di percorrenza, a vantaggio delle persone che viaggiano per motivi di lavoro, studio e turismo». Lo dice Rete ferroviaria italiana, che presentò il Piano per la Sicilia aggiornato alla fine del 2023. A chi dice «non c’è nulla, non si fa niente, ci sarebbe bisogno di…», le Ferrovie rispondono «con l’evidenza dei fatti». A partire dal progetto del potenziamento della linea Palermo-Messina, che prevede il raddoppio della tratta Fiumetorto-Castelbuono lunga circa 32 km. Sono state già realizzate le attivazioni parziali da Fiumetorto a Campofelice con la nuova fermata di Lascari.
‘Sessanta coppie di treni al giorno dai 3-4 del 2022, taglio di 200mila tonnellate di CO2 che diventeranno 700mila con la “sforbiciata” delle navi di medio e lungo raggio e degli aerei. E un aumento totale già nel 2032, primo anno di attività del Ponte, del 31,6% del trasporto su ferrovia, passeggeri e merci’, raccontare i numeri del Ponte sullo Stretto è Pietro Ciucci il numero uno dell’omonima società, la Stretto di Messina, resuscitata dallo stato di liquidazione e rimessa in pista come general contractor della maxiopera da 13,5 miliardi: ‘Le opere in Italia sono destinate a suscitare grandi passioni ma io sono un tecnico, non mi occupo di politica. Registro però che non c’è stata da parte nostra nessuna opacità o intenzione di non voler diffondere il progetto. Cosa che abbiamo prontamente fatto in questi giorni non appena approvato e quindi definitivo. Per quanto riguarda l’inchiesta in Procura mi risulta che sia un atto dovuto e non nutro alcuna preoccupazione: tutte le procedure sono state rispettate. Rispondo che per criticare un progetto bisogna conoscerlo e io leggo critiche che davvero non comprendo. Il Ponte sullo Stretto è un’opera di collegamento cruciale per l’economia, non solo quella locale. Innanzitutto esiste un progetto Ponte che vale 13,5 miliardi e che oltre all’infrastruttura prevede ben 40 km di opere stradali e ferroviarie di collegamento. Il Ponte è fatto per unire, partiamo da qui. Questo significa dare continuità alla rete, non solo per attraversare lo Stretto. Il Comune di Messina ci ha chiesto di arrivare con il collegamento sotterraneo fino alla nuova stazione di Gazzi nell’ambito della metro dello Stretto da Reggio a Messina con tre nuove stazioni sotterranee. Quel che vorrei che fosse chiaro è il ruolo decisivo della Stretto di Messina. Con noi lavorano i migliori progettisti, esperti di tutte le materie tecnico-scientifiche che riguardano l’opera. Abbiamo un project manager consultant di primo piano, la Parson Transportation, con grande esperienza di ponti sospesi negli Stati Uniti. Il nostro è il primo del genere in Italia. L’analisi sviluppata sulla base delle linee guida del Mit e dei parametri europei evidenzia un valore attuale netto al 2032 di 3,9 miliardi come differenza tra i benefici e il costo per il periodo dal 2032 anno di apertura del collegamento, al 2061 quando cioè terminerà la concessione. Mentre il tasso di ritorno, cioé il rendimento ottenuto rispetto all’investimento, è pari al 4,5% contro lo standard Ue del 3% e già considerato un buon tasso. Questa analisi tiene conto da un lato dell’investimento di 13,5 miliardi per il progetto Ponte e dall’altro dei benefici per il risparmio di tempo e della riduzione di CO2 ottenuti con l’apertura del collegamento. Noi teniamo in grandissimo conto l’impatto ambientale. E i numeri certificati dall’Emsa ci dicono il contrario con un taglio di 200mila tonnellate di CO2 grazie alla cancellazione di 526.000 miglia nautiche sul breve raggio. Nel 2032 con il trasferimento sul ferro anche delle navi di lungo raggio e della modalità aerea prevediamo un abbattimento di 700mila tonnellate annue che al 2061 saranno pari a 10 milioni al netto delle emissioni in fase di cantiere. Le stime per l’occupazione sono calcolate in unità di lavoro annue: ne abbiamo previste 4.300 l’anno con punte di 7mila sul cantiere che in sette anni fanno 32mila unità. Per l’indotto il totale è di 90mila addetti in 7 anni. E sui costi rispettermo i limiti di legge. La crescita dell’investimento non si riferisce a nuove opere ma la forte aumento dei prezzi delle materie prime registrato negli ultimi anni. Entro l’estate apriranno i cantieri’.