Premierato e convegno di FdI: ‘E’ una riforma per il futuro dell’Italia’. Schlein: ‘Sarà opposizione dura’

“La riforma del premierato non è per il governo Meloni, ma per il futuro dell’Italia, per evitare che gli italiani si ritrovino, come dopo le elezioni del 2018, con un maggioranza formata da Pd, M5s, Lega e Forza Italia tutti insieme con un presidente del Consiglio non scelto dagli elettori”.

In platea diversi esponenti di spicco di FdI, tra cui Giovanni Donzelli, Sara Kelany e Andrea De Priamo perché, come dice Marco Lisei, capogruppo di FdI in commissione Affari Costituzionali del Senato, “il premeriato per noi, è la madre di tutte le riforme. Un provvedimento fortemente voluto da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia e che appartiene alla storia del nostro partito. Si basa su obiettivi chiari: consentire ai cittadini di scegliere il premier, ridare credibilità alle scelte dei cittadini, consolidare la certezza per gli italiani su chi li guiderà. Basta, quindi, governi tecnici e trasformisti”.

Alla platea riunita in piazza Capranica, il moderatore del convegno, l’editorialista del Giornale Vittorio Macioce ricorda con una certa ironia che la sinistra pare scesa da Marte, ricordando che negli anni ’80 De Mita e Iotti immaginarono dei poteri per il presidente del Consiglio oggi sarebbero definiti “eversivi”, per non parlare dal famoso “patto della crostata del 1997”

Al convegno organizzato da Fratelli d’Italia ‘Obiettivo premierato, al centro volontà popolare e stabilità dei governi’, la palma del “premierato spiegato in una frase” spetta al senatore di FdI Alberto Balboni:   “l’instabilità politica è costata all’Italia 265miliardi di euro, nonché 300mila posti di lavoro all’anno, dunque 3 milioni in dieci anni”.

Da parte sua, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani si dice “un po’ deluso dal riflesso condizionato dei nostri colleghi dell’opposizione: Meloni volle un confronto prima di partire con la riforma, chiedendo di ragionare su una riforma di sistema che serve all’Italia, non al centrodestra. Abbiamo ricevuto risposte un po’ imbarazzate, che erano tentativi di dire di no, ma è una battaglia ostruzionistica, senza peraltro proporre nulla di concreto, che non porta da nessuna parte. Ma noi andremo avanti per la nostra strada, perché se un domani andrà al governo il centrosinistra – e io farò di tutto perché questo non accada – questa riforma servirà anche al centrosinistra”.

“La stabilità politica è un valore etico ed economico. Con la riforma del premierato il susseguirsi in maniera indiscriminata dei governi finirà e gli italiani potranno, da protagonisti, scegliere finalmente da chi farsi governare”, spiega in un videomessaggio Francesco Filini, responsabile del Programma di FdI nonché coordinatore dell’Ufficio Studi del partito.

Alle obiezioni sulla presunta limitazione dei poteri del presidente della Repubblica replica Felice Giuffrè, sostenendo che anzi sono rafforzati. Il giurista e consigliere del Csm non manca di citare un politologo di sinistra come “Gianfranco Pasquino, che già dal 1986 invocava una riforma in tal senso, con il saggio “Restituire lo scettro al principe”, ovvero al popolo.

Mentre il consigliere giuridico del premier Meloni, Francesco Saverio Marini, osserva: “Il modello che si è provato ad introdurre risponde a una esigenza condivisa da tutte le forze politiche: la stabilità. Questa riforma non è un compromesso. Ma come tutte le riforme è il frutto di un confronto, quindi di un compromesso che non ha una accezione negativa”.  Punto fragile? “Non vedo punti di fragilità, oggi la riforma è stata molto migliorata”.

“Una riforma che consentirà finalmente di avere governi stabili – ricorda nel suo intervento il capogruppo dei senatori di FdI, Lucio Malan – e che consentirà di godere anche di una fiducia internazionale, che avrà ripercussioni per l’economia italiana, ma anche in campi le infrastrutture, delle istruzione. Per gli altri Paesi un governo stabile è segno di affidabilità”.

«Ostruzionismo insensato». È questa l’unica strategia che l’opposizione sta adottando in risposta al premierato proposto dal governo Meloni. Poco importa che, in Italia, si parli di rafforzamento dei poteri del premier a partire dagli anni Settanta anche all’interno del mondo della sinistra. Dalla commissione Bozzi del 1983 alla De Mita-Iotti del 1993 che voleva introdurre la sfiducia costruttiva si arriva alla bicamerale di D’Alema che spingeva per il semipresidenzialismo. L’opposizione odierna, invece, accomuna il premierato a una nuova forma di autoritarismo e nega qualsiasi possibilità di dialogo. «Il Pd si è presentato con il responsabile Riforme Alfieri che ha detto siamo contrari all’elezione diretta e siamo qui solo per impedirvi di fare la riforma, se togliete l’elezione diretta ragioniamo», ha detto il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato Alberto Balboni, rimasto «a bocca aperta». Le opposizioni, nel loro complesso, infatti, hanno presentato 2.600 emendamenti sul premierato a fronte dei 3-400 presentati sull’autonomia differenziata. In particolare, i senatori Giuseppe De Cristofaro, presidente del gruppo misto, Aurora Floridia di Europa Verde, Ilaria Cucchi e Tino Magni di Sinistra Italiana si sono ingegnati nel proporre emendamenti sulla durata del mandato del presidente del Consiglio che sono alquanto esilaranti. «Al comma 1, capoverso Art. 92, comma 2, sostituire le parole cinque anni con le seguenti ventuno ore», si legge dai testi pubblici della prima Commissione del Senato. Di emendamenti identici a questo se ne trovano una decina che differiscono tra loro solo perché anziché «ventuno ore» i senatori dell’opposizione hanno proposto: «Ventidue ore», «un giorno» oppure «tre giorni», ed altro.

Emendamenti irricevibili dato che la durata naturale del mandato di un premier in carica non può essere inferiore alla durata naturale della legislatura, ossia 5 anni. I senatori del Pd, invece, si sono impegnati nel cercare di modificare la percentuale dei partecipanti al voto. «Al comma 1, capoverso 92, secondo comma, al primo periodo aggiungere, infine, le seguenti parole: A condizione che abbia ottenuto il 58% dei voti espressi e abbia partecipato al voto il 94% degli aventi diritto», ha proposto il senatore dem Marco Meloni. I suoi colleghi Antonio Nicita, Andrea Giorgis, Valeria Valente, Dario Parrini e Susanna Camusso hanno presentato degli emendamenti identici che differiscono solo perché ognuno di questi abbassa il quorum previsto di un solo punto percentuale rispetto al precedente. Un ostruzionismo che non tiene conto della necessità, anche economica, di avere governi stabili.

È un’opposizione “durissima e senza sconti” quella che il Pd si appresta a fare sulla riforma del premierato voluta da Giorgia Meloni. Ad annunciarlo – proprio mentre la maggioranza medita di forzare i tempi dell’esame in commissione Affari costituzionali del Senato – è la segretaria Elly Schlein.

Dal presidente dei deputati di FdI, Tommaso Foti arriva una risposta anche per chi contesta la riforma del premierato, agli “smemorati” della sinistra “che hanno già dimenticato la Bicamerale di D’Alema”, ma anche a chi contesta la riforma perché non prevede il sistema elettorale. Foti chiarisce infatti che “non si è mai visto pensare un sistema elettorale senza sapere prima qual è la norma costituzionale che regge quel sistema. E’ evidente che un minuto dopo che la riforma costituzionale sarà stata approvata si dovrà pensare alla legge elettorale ma non si può pensare alla legge elettorale prima, anche perché – conclude il presidente dei deputati di FdI – gli istituti possono portare a varie leggi elettorali”.

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