Presidente della Cassazione: ‘Reato di immigrazione clandestina inutile e dannoso’

Giustizia, legalità, efficienza ed efficacia della giurisdizione. Sono queste le cose di cui l’Italia ha bisogno e che i cittadini chiedono a gran voce, secondo il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, che ha parlato all’apertura della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2016 alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Canzio ha aperto la sua relazione con un auspicio: ‘Vorrei davvero che la cerimonia per l’apertura dell’anno giudiziario non fosse considerata un semplice rito, solenne nella forma, ma ripetitivo e perciò inutile nella sostanza, bensì riuscisse a segnare uno spazio di riflessione e di dialogo e a trasmettere alla comunità nazionale un messaggio di speranza, fiducia e impegno per una più feconda stagione della Giustizia’.  Per perseguire il reato di immigrazione clandestina, ha affermato, la risposta sul terreno del procedimento penale si è rivelata inutile, inefficace e per alcuni profili dannosa, mentre la sostituzione del reato con un illecito e con sanzioni di tipo amministrativo, fino al più rigoroso provvedimento di espulsione, darebbe risultati concreti. L’immigrazione illegale,  o immigrazione clandestina, è l’ingresso o il soggiorno di cittadini stranieri in violazione delle leggi di immigrazione del paese di destinazione. Lo status degli immigrati illegali è nella maggior parte dei casi temporaneo e può accadere che persone entrate clandestinamente, senza presentare le proprie generalità ai controlli di frontiera, riescano successivamente a sanare la loro posizione sul territorio, tramite sanatorie o regolarizzazioni. Viceversa persone entrate legalmente sul territorio possono restarvi per un tempo superiore al previsto e divenire quindi irregolari, non riuscendo a rientrare nelle casistiche previste per ciascuna sanatoria. Gli immigrati sono di solito mossi dalla ricerca di condizioni di vita migliori, spesso i Paesi di provenienza sono in quei Paesiin cui non vengono rispettati i diritti civili. In quest’ultimo caso potrebbero avere diritto ad ottenere lo status di rifugiati richiedenti asilo. L’immigrazione illegale, così come quella regolare, è un fenomeno di cui sono oggetto generalmente i Paesi più ricchi, seguendo rotte e modalità di trasporto svariate. Tali spostamenti vengono definiti irregolari se avvengono senza la necessaria documentazione e per altro di frequente coinvolgono trafficanti di esseri umani, talvolta costituiti in vere e proprie organizzazioni criminali dirette al loro sfruttamento. Le persone che si muovono in questa maniera spesso mettono a rischio la propria vita, sono obbligate a viaggiare in condizioni disumane e possono essere oggetto di sfruttamento e abuso. Da un punto di vista politico l’immigrazione clandestina va a toccare una serie di grandi questioni sociali quali l’economia, il welfare state, l’istruzione, l’assistenza sanitaria, la schiavitù, la prostituzione, le protezioni giuridiche, il diritto di voto, i servizi pubblici, e i diritti umani. Il dibattito sulla depenalizzazione del reato d’immigrazione irregolare ha visto la formazione di un inedito fronte a favore. Non solo le associazioni in difesa dei diritti civili e la magistratura, ma anche i vertici delle forze dell’ordine si sono pronunciati per l’abolizione del reato, perché non serve a niente. Il governo ha invece deciso di rimandare ‘sine die’ la decisione, che pure sarebbe obbligato a prendere in virtù di una legge delega del parlamento. Approvato nel 2009 dal governo Berlusconi-Maroni, con l’attuale ministro dell’interno Angelino Alfano allora alla giustizia, il reato prevede una multa per l’immigrato entrato irregolarmente, o colto in situazione irregolare sul territorio, e che nel frattempo è stato espulso o ha fatto perdere le proprie tracce, e quindi non potrà pagare la sanzione. In questo senso, intasa le procure inutilmente. Così congegnato, il reato non ha mai raggiunto gli obiettivi che si era prefissato il legislatore. Com’era prevedibile fin dalla sua approvazione non ha avuto alcun effetto dissuasivo. La cosa più sorprendente di tutto il dibattito sono state le ragioni presentate dal presidente del consiglio per giustificare il suo mancato atto. In un’intervista al Tg1 Matteo Renzi disse che secondo i magistrati il reato in quanto tale non serve, non ha senso e intasa i tribunali, ma è anche vero che c’è una percezione di insicurezza da parte dei cittadini per cui questo percorso di cambiamento delle regole lo faremo con calma, tutti insieme, senza fretta. Passando ad altro, il Presidente Canzio ha affermato che il Paese chiede che la legge venga applicata in modo uniforme e rapido e che tutti abbiano un uguale trattamento in casi simili o analoghi. In un passaggio fondamentale della relazione, il primo presidente dice che le risposte dei giudici alle pressanti domande di legalità devono essere sì pronte ed efficaci, ma anche eque e razionali, qualità queste che pretendono capacità di ascolto e di attenzione, di dialogo con l’avvocatura e la comunità dei giuristi, tempi adeguati di studio e di riflessione, scelte serie e responsabili. La lotta a ogni forma di criminalità organizzata o terroristica, anche quella internazionale di matrice jihadista deve essere condotta nel rispetto delle regole stabilite dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato. Diversamente tradiremmo la memoria dei magistrati caduti in difesa dei più alti valori democratici, come Emilio Alessandrini, e non faremmo onore al giuramento di fedeltà che abbiamo prestato. E’ stato citato per primo Emilio Alessandrini, di cui ricorre domani il 37° anniversario della morte, titolare delle indagini sulla strage di Piazza Fontana e sul terrorismo di destra e di sinistra, colpito a morte da un gruppo di fuoco di Prima linea. E poi Guido Galli, Mario Amato, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme ai tanti magistrati vittime del terrorismo e della mafia. Non sono stati degli eroi, come mai avrebbero voluto definirsi, ma un modello di riferimento al quale ogni magistrato dovrebbe ispirarsi per il messaggio di speranza, fiducia, forza della ragione e della democrazia contro la violenza e le farneticazioni di coloro nei quali si annida il ‘cuore di tenebra’, traendo dal loro fulgido esempio un monito per la legittimazione, la credibilità, l’autorevolezza della giurisdizione. E’ stato, poi, chiarito che in Cassazione è urgente smaltire 105mila vecchie cause e la stessa versa in uno stato di profonda e visibile crisi di funzionamento e di identità. I dati di fine anno segnano l’insuccesso di una strategia mirata alla deflazione delle pendenze e del pesante arretrato mediante il mero aumento della produttività, fino al limite dell’esaurimento delle energie dei magistrati e del personale    Ormai è a rischio la qualità della giurisdizione di legittimità, sommersa da una mole di ricorsi (105mila le cause civili pendenti da oltre tre anni, quelle tributarie sono il 32,7% quelle di lavoro il 14,3%) che ha proporzioni mostruose rispetto a quelle, molto esigue, di altre Corti. Se continua così, avverte Canzio, la Cassazione scivolerà sempre più nel modesto ruolo di Corte di revisione o di terza istanza, abdicando a quello di ‘Corte del precedente’. Si impone l’urgente e coraggioso avvio di un percorso di autoriforma, mediante l’adozione,anche sperimentale, di misure organizzative interne, radicali e inedite. Perché questo accada, serve anche una magistratura aperta che non arretra al cospetto di mutamenti tanto repentini e una giustizia efficiente nell’affermare diritti e garantire effettività alle libertà dei cittadini, ha detto il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini. Il presidente della Cassazione ha dedicato poi una parte della sua relazione alla modifica dell’istituto della prescrizione. Come è stata modificata, ha detto Canzio, irragionevolmente continua a proiettare la sua efficacia pure nel corso del processo, dopo l’avvenuto esercizio dell’azione penale o addirittura dopo che è stata pronunciata la sentenza di condanna di primo grado, mentre sarebbe logico, almeno in questo caso, che il Legislatore ne prevedesse il depotenziamento.
Roberto Cristiano

 

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