Arriva il primo via libera dalla Camera alla quinta riforma della prescrizione in 19 anni. I deputati, con 173 si e 79 no, approvano la proposta di legge a prima firma Pietro Pittalis (FI) dopo un passaggio in Commissione Giustizia dove è stata riscritta grazie agli emendamenti dei relatori Enrico Costa (Az) e Andrea Pellicini (FdI). Il testo, che ora deve passare al Senato, potrà essere applicato anche ai casi in corso, non solo a quelli futuri, grazie al principio del ‘favor rei’. Ovvero il Principio in base al quale nessuno può essere assoggettato a una sanzione per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più una violazione punibile.
La riforma è sostenuta dalla maggioranza di centrodestra e da Italia viva e Azione. Contrari invece M5s, Pd e Avs.
L’approvazione da parte della Camera dei Deputati della riforma della prescrizione è, finalmente, una buona notizia sul fronte della giustizia penale. È vero, è l’ennesima riforma di quell’istituto nel giro di pochi anni, dopo la prima c.d. ex Cirielli: Orlando, Bonafede, Cartabia, ed ora Nordio.
Il provvedimento prevede una sospensione della prescrizione di 24 mesi dopo la sentenza di condanna di primo grado e di 12 mesi dopo la conferma della condanna in Appello. Se la sentenza di impugnazione non arriverà nei tempi previsti, la prescrizione riprenderà il suo corso e si calcolerà il precedente periodo di sospensione. Anche in caso di successivo proscioglimento o annullamento della condanna in Appello o in Cassazione, il periodo in cui il processo è stato sospeso si calcolerà ai fini della prescrizione.
Le nuove norme intervengono sulla cosiddetta riforma Cartabia, che a sua volta riformava la legge ‘Spazzacorrotti’ firmata M5s, che aveva modificato la riforma Orlando del 2017. Ora c’è un ritorno sostanziale alla legge approvata con Andrea Orlando (Pd) ministro della Giustizia, pur essendo stata bocciata in Aula la proposta di modifica che riproponeva tout court il ritorno alla legge dell’allora ministro dem.
Certamente non è una prassi virtuosa; certamente si creeranno ulteriori, complesse problematiche applicative e di successione di norme più favorevoli. Ma questo bailamme di norme, obiettivamente poco decoroso, è il frutto avvelenato di un autentico impazzimento penal-populista che ha contagiato la politica dopo la riforma berlusconiana dell’istituto. Marchiata -con qualche ragione- la riforma Cirielli (dalla quale il primo firmatario volle sfilarsi, pretendendo la stravagante apposizione della parola “ex”) come una legge ad personam, si è scatenata una autentica ordalia su questo istituto di antica civiltà giuridica. Alla sua base, infatti, vi è una idea semplicemente incontrovertibile.
Lo Stato ha il dovere, istituzionale ed etico, di garantire che una accusa penale a carico di un cittadino venga verificata nella sua fondatezza in un tempo ragionevole. L’imputato non può, da presunto innocente, rimanere prigioniero sine die di una imputazione, per colpe non sue (perché infatti, quando il tempo trascorre per impedimenti dell’imputato o del difensore, il corso della prescrizione è sospeso). Ecco allora che il codice garantisce – è proprio il caso di dirlo – la prescrizione dei reati, con tempi ovviamente calibrati sulla gravità degli stessi. Ed anzi, negli anni gli interventi legislativi hanno reso i tempi di prescrizione dei reati di dimensioni inconcepibili (18, 20, 30, 40 anni ed oltre!).
Quindi, prima il Ministro Orlando (governo PD), ne prolunga i già lunghissimi tempi di maturazione, poi il Ministro populista Alfonso Bonafede ne fa la propria riforma simbolo, fermandola al primo grado, così introducendo la figura dell’imputato a vita. La grande battaglia politica contro questa mostruosità, condotta dalla intera comunità dei giuristi italiani guidata dall’Unione delle camere penali, ha portato il Parlamento, già con il Governo Draghi, ad impegnarsi per rimuoverla.
Con la Ministra Cartabia, che aveva comunque i 5 Stelle come gruppo di maggioranza relativa, si è trovata la pasticciata soluzione della improcedibilità dell’appello dopo l’inutile decorso di un termine variamente (ed anche arbitrariamente) declinato a seconda della “gravità” del processo. Oggi si pone fine (ce lo auguriamo: niente scherzi!) a questa penosa ed incivile parentesi, tornando alla prescrizione dei reati ed anche migliorando la riforma Orlando. Era ora.