‘Mah, secondo me con questa alle europee non arriviamo manco al 17 per cento’, afferma Nicola Zingaretti, che avrebbe confidato la brutale previsione ai compagni ravennati appena sceso dal palco della Festa dell’Unità in via di svolgimento nella città romagnola. Elly Schlein, da lui votata alle primarie perché convinto che affidarsi ad un nome estraneo alla schiera degli apparati fosse soluzione giusta per il Pd. Invece, tempo dieci mesi, e Zingaretti è già andato ad infoltire l’affollata schiera di delusi dalla segretaria.
Romano Prodi disegna il “nuovo Pd” targato dalla sua pupilla Elly Schlein e non si tira indietro nel dare più di qualche consiglio alla giovane segreteria. “Il suo destino – spiega l’ex presidente del consiglio – è riunire intorno al Pd tutti i riformisti”. Il primo passo del Pd made in Schlein è “aprirsi ai riformisti”, o meglio, “riformare i riformisti”. Romano Prodi è chiaro: abbandonare l’ipotesi “campo largo” con il M5S e cercare di occupare quelle “praterie sconfinate” per conquistare gli elettori moderati. Vedi, in questo caso, la possibile alleanza con il Terzo Polo. “Con un linguaggio cattolico – aggiunge Prodi – le direi che nei suoi confronti c’è stato in grande atto di fede, ora sta a lei scrivere e predicare il credo. E dovrà essere un credo riformista”.
Schlein si è subito caratterizzata per un movimentismo senza né capo né coda, che la porta ad abbracciare tutte le cause evidenziando un’ansia da prestazione degna di miglior causa. E così un giorno rincorre Conte, l’altro Fratoianni e l’altro ancora Bonelli. L’unico punto fermo della sua simil-strategia è che stringerebbe volentieri un patto federativo con Carlo Calenda.
In realtà nel Partito Democratico ligure una trentina di esponenti dem hanno deciso di lasciare la Schlein per entrare in Azione, il movimento di Carlo Calenda. Tra loro, ci sono anche il consigliere regionale Pippo Rossetti e la consigliera comunale Cristina Lodi. Due non esattamente irrilevanti, anche in termini di voti. Lodi, per esempio, è stata la più votata nelle ultime amministrative nel comune di Genova, che pure erano state nettamente vinte dal centrodestra e dal sindaco Marco Bucci.
Le motivazioni con le quali gli ex piddini hanno giustificato il loro addio al Pd sono contenute in una lettera inviata al gruppo dirigente ligure. Il senso non è poi così distante da quello che avevano già affermato nel recente passato altri rappresentanti che hanno deciso di compiere lo stesso percorso in direzione Calenda o Renzi. Con Elly Schlein – scrivono – c’è stata “una netta svolta a sinistra, in cui viene sostanzialmente negato il processo del riformismo messo in campo negli ultimi dieci anni” per questo “non ci sentiamo più a casa nostra”. E così la loro nuova casa sarà quella di Azione. “È il momento di agire con coraggio e aderire al progetto riformista di Azione con Carlo Calenda. Partito che fonda le proprie radici nella Costituzione, che non media per forza con il populismo dilagante”.
Un ennesimo smacco per la segretaria del Partito Democratico che, da quando si è insediata al vertice del Nazareno, ha già dovuto assistere ad altre scosse telluriche a livello più nazionale, come hanno dimostrato gli addii dei mesi scorsi dall’ex-capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, e di Enrico Borghi, passato con Matteo Renzi e attuale presidente dei senatori di Italia Viva.
Da qui la sinistra profezia di Zingaretti avvalorata da sondaggi che vedono il Pd da tempo statico su quota 20.