Negli ultimi giorni è balzato agli onori delle cronache la cosiddetta “shrinkflation”. Un fenomeno, diffuso ormai in mezzo mondo, che può essere spiegato con il classico esempio del pacchetto di patatine che sembra sempre “più vuoto”. Anche se il prezzo resta lo stesso, la quantità di prodotto all’interno della confezione diminuisce. Un escamotage quasi impercettibile che di recente ha però sollevato le proteste delle associazioni dei consumatori.
Chiunque vada a fare la spesa al supermercato è dunque una possibile vittima del “trucchetto” messo in atto dalle aziende produttrici. La causa scatenante è, ancora una volta, legata all’inflazione e all’aumento dei costi di gestione e delle materie prime.
Ancora una volta è un termine anglosassone a essere usato per descrivere un meccanismo, non certo nuovo, diffuso a livello globale. La shrinkflation deriva dalla crasi del verbo “shrink” (“restringere”) e di “inflation” (“inflazione”) e indica una sorta di “trucchetto svuota-carrelli“, come lo hanno definito le associazioni di consumatori. In altre parole: stesso prezzo, ma pacchetto più piccolo. Oppure stesso prezzo, ma contenuto inferiore o anche meno servizi rispetto a prima. Le aziende hanno adottato questa nuova strategia per combattere l’inflazione galoppante, senza dare al consumatore una sensazione di impoverimento tale da bloccarne la spesa e quindi i consumi.
Questo stato di cose riguarda anche il mondo del turismo, già fiaccato da due anni di pandemia. Per far fronte ai rincari, hotel e strutture ricettive hanno alzato i prezzi pur offrendo gli stessi servizi. Le colazioni a buffet, sparite durante l’emergenza Covid per garantire il distanziamento, sono invece tornate solo a singhiozzo, stavolta a causa dei costi troppo alti. Le conseguenze della shrinkflation si osservano anche nei ristoranti, dove gli chef cominciano a eliminare gli ingredienti più costosi dai loro piatti e a ridurre le porzioni.
Tornando all’esempio delle patatine, chi va a fare la spesa troverà sempre lo stesso pacchetto che è abituato a comprare. A cambiare è però il numero di patatine all’interno, 5 o 10 in meno. Il medesimo discorso vale per le bibite. Il consumatore potrà prendere dallo scaffale una lattina apparentemente identica, ma in realtà leggermente ridimensionata nel diametro o nell’altezza rispetto alla norma. Negli Stati Uniti si assiste a un’altra “versione” della shrinkflation: le confezioni di pasta e i relativi prezzi sono rimasti gli stessi, mentre il peso netto all’interno è diminuito. Il fenomeno non riguarda però soltanto i beni alimentari. Nella “spirale” sono finiti anche i detersivi, con flaconi pieni a tre quarti, i bagno schiuma, i dentifrici e i rotoli di carta per la casa, dove è stato allargato il diametro del buco interno.
Il caso più emblematico è forse quello della barretta del Toblerone. Qualche anno fa, per far fronte all’aumento del costo del cacao, i produttori decisero di allungare gli spazi tra un pezzetto di cioccolato e l’altro per risparmiare sulla materia prima. La mossa non passò però inosservata e scatenò la furia dei consumatori abituali. Una situazione quasi speculare riguarda oggi la britannica Cadbury, che ha ridotto del 10% le dimensioni delle sue barrette di cioccolato Dairy Milk. E anche se il peso dei singoli pezzi è passato da 200 a 180 grammi, il prezzo è rimasto lo stesso. L’azienda proprietaria del marchio si è giustificata segnalando i sempre più alti costi di produzione.
La riduzione delle quantità dei prodotti confezionati venduti allo stesso prezzo ha scatenato le associazioni dei consumatori. Consumerismo No profit ha già presentato un esposto all’Antitrust, denunciando la presenza di una “inflazione occulta” in Italia a danno delle famiglie. “Si tratta di un trucchetto svuota-carrelli che consente enormi guadagni alle aziende produttrici, ma di fatto svuota le tasche dei cittadini.
La sigla parla di “prassi scorretta che inganna i consumatori”, perché questi ultimi non hanno la percezione di subire un aggravio di spesa. La shrinkflation svuota i carrelli anche del 30%, poiché a parità di spesa le quantità portate a casa sono inferiori, ha spiegato il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele.