Si è tenuto il 13 dicembre scorso, presso la sede della ‘Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice’ e del ‘Comitato 10 febbraio’, il monologo ‘La Pittura. Il Sangue. Il Leone. Giuseppe Lallich, dalmata dimenticato’ di Emanuele Merlino, interpretato da Mauro Serio. Il monologo di Merlino è liberamente ispirato al volume ‘Giuseppe Lallich, dalla Dalmazia alla Roma di Villa Strohl-Fern’, edito da Palladino, di Carla Isabella Elena Cace, giornalista, scrittrice, storica dell’arte e dirigente del ‘Comitato 10 febbraio’. Il titolo della serata contiene tutti gli ingredienti di quello che vuole essere un omaggio all’artista. C’è infatti la pittura, perché è nell’arte che i più grandi riescono ad affermare la bellezza di un tratto, di un’idea, di un sogno, di una rivolta contro una realtà ingiusta, come quella che costrinse Lallich a lasciare la propria casa. C’è il sangue perché è passione, perché è appartenenza, perché costringe a credere in ‘ciò che la fede duratura, malgrado l’apparenza, spera. C’è il leone, perché è presente nella storia della Repubblica di Venezia, ed è presente nei leoni raffigurati in Istria, è c’è una verità che, seppur taciuta, ancora vive: ‘In Dalmazia anche le pietre parlano italiano’. Presenta con straordinaria eleganza la serata Carla Cace, autrice del testo, che dopo i rituali saluti al presidente della ‘Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice’, informa che il suo testo proviene da uno studio preparato all’università su Giuseppe Lallich, poi pubblicato dalla Palladino editore, soffermandosi sull’artista informando che è il primo pittore ‘etnografico’ della storia. Poi presenta Emanuele Merlino e Mauro Serio, fa spegnere le luci dando inizio alla rappresentazione. Mi fermo qui per riprendere in seguito sulla messa in scena dello spettacolo. Carla Cace è esule di terza generazione proveniente da un’antica famiglia di medici irredentisti di Sebenico. Ha scritto sul tema del Confine Orientale non solo ‘Giuseppe Lallich, dalla Dalmazia alla Roma di Villa Strohl-Fern’, ma anche altri testi collegati ad analoghe vicende, come ‘Foibe, martiri dimenticati’ e ‘Foibe, dalla tragedia all’esodo’, ‘Foibe ed esodo. L’Italia negata’. I libri della Cace sono tesi a ricostruire i tanti buchi neri della coscienza storica e politica italiana. Buchi neri che parlano dei drammi vissuti dalle seconde e terze generazioni degli esuli. A parlare sono le sofferenze patite dai genitori e dai nonni che sono divenute inevitabilmente messaggi subliminali che, ribaditi per generazioni, diventano un istinto che opera nell’inconscio. Parliamo, e sia ben chiaro, delle ragioni dei giuliano-dalmati che non sono state ascoltate, per motivi politici più che ideologici, dalle classi politiche. L’Italia, in poche parole, non voleva ‘guastare’ l’amicizia ed il raccordo con i popoli iugoslavi, dando corso ad una ‘congiura del silenzio’. Tant’è! La Cace ha curato, tra l’altro, le mostre: ‘Giuseppe Lallich, tra italianità, analisi etnografica e cosmopolitismo’, presso la Corte dei Conti; ‘Giuseppe Lallich, dalla Dalmazia alla Roma di Villa Strohl-Fern’, presso il Rifugio Antiaereo del Palazzo Uffici della Eur Spa, sezione dedicata a Giuseppe Lallich per la tappa romana della mostra itinerante ‘Artisti dalmati italiani contemporanei’. Tra gli ultimi lavori di Lallich nel libro della Cace sono presenti, raffigurati in ritratti, tre membri della famiglia Cace, Francesca Battisich e Doimo Cace, marito della Battisich, e la piccola Paola, nipote di Doimo. Giuseppe Lallich è una delle figure artistiche messe da parte dalla storiografia ufficiale perché orgogliosamente italiano e, soprattutto, irredentista. I fatti della sua vita, infatti, si sono drammaticamente intrecciati con quelli della Grande Storia. Fuggendo a 50 anni da una terra per lui ostile proprio per i suoi sentimenti irredentisti, lascia uno studio colmo di opere importantissime, frutto di un percorso artistico che muove dall’Accademia di Venezia per giungere alla Parigi post-impressionista. Approderà a quel mondo sommerso e fantastico della Roma di Villa Strohl-Fern e del suo cenacolo artistico, per poi scomparire nuovamente dalla memoria. Soffermandomi sul testo della Cace c’è da annotare una ricerca certosina per la stesura del testo. Questo a partire dalla cura dimostrata nell’impaginazione del testo, dalla copertina che raffigura il quadro ‘Il bacio della bandiera’, sicuramente l’opera di Lallich più famosa ed importante, in quanto raffigura il celebre e commovente giuramento di Perasto. Ricordiamo che gli abitanti della cittadina dalmata di Perasto, che dal 1386 poteva vantare, per speciale decreto del Senato di Venezia, il titolo di fedelissima Gonfaloniera, di ricevere l’onere e l’onore di custodire il gonfalone di guerra della flotta veneta offrendo 12 perastini come gonfalonieri, guardia personale del Doge, con il compito di difendere a costo della vita il vessillo sulla nave ammiraglia, e che, dopo la fine della Repubblica di Venezia nel 1797, deliberarono di rimanere veneziani fino all’arrivo delle truppe austriache. Il 23 agosto il Gonfalone della Serenissima venne trasportato in solenne cerimonia dalla casa del Capitano della guardia perastina, il conte Giuseppe Viscovich, fino alla Cattedrale, dove verrà sepolto sotto l’altare maggiore, mentre la folla inginocchiata offre il proprio ultimo omaggio al vessillo che aveva giurato di difendere, baciandolo e bagnandolo delle proprie lacrime, a partire dallo stesso Viscovich, che pronuncia una celebre orazione nota come giuramento di Perasto o, dalle sue più celebri parole, ‘Ti con nu, nu con Ti’. Di questo parleremo in seguito, quando descriveremo l’interpretazione di Serio. Il testo è scritto in due lingue, l’italiano e la lingua croata. L’impaginazione è precisissima, a partire dalle scelte dei quadri da raffigurare. Chiarisco che è compito dell’editore accettare il testo visto da un editor, poi fornire, se necessario, un traduttore, un correttore di bozze, per arrivare alle bozze di stampa. E’ quindi necessario seguire, con cognizione di causa, tutti i passaggi. Poi resta la scelta delle carta, del cartoncino di copertina e si può dare il via alla stampa. Leggendo il libro, rapportandolo alle premesse fatte, si può avere idea della ‘passione’, e della competenza, trasfusa dalla Cace nella preparazione del testo. Dico questo per riallacciarmi alla parole di Merlino che diceva al momento dei saluti: ‘Noi Carla la conosciamo bene per il suo impegno, per le sue capacità ed, in senso professionale, conosciamo la ‘distanza’ che contraddistingue i suoi lavori’. Vero, perché è necessario, giornalisticamente, e come saggista, mantenere una distanza dal testo. Carla, pur coinvolta emotivamente, ha dimostrato di riuscirci andando incontro non alla distanza, ma incontrando, attraversandolo, il ‘phatos della distanza’, inteso in un senso puramente nicciano. Passando a Lallich ricordiamo che giunse a Villa Strohl-Fern quando aveva cinquanta anni. Appena arrivato a Roma si fece notare per la peculiarità di essere un pittore dalmatico perché illustrava ad una ignara ‘intelligentia capitolina’ le sue capacità ad illustrare i costumi ed i paesaggi dell’altra sponda adriatica. Naturalmente, come è noto, era un’artista a 360 gradi, che spaziava dall’uso dei colori al bianco e nero, cultore della paesaggistica, abilissimo nel magico uso della ritrattistica ed altro. Dipinse splendidi paesaggi romani, e moltissimi ritratti velati comunque da un senso lirico di malinconia che nasceva dal suo cammino di sofferenze, come nota la Cace. Completamente avvolto da un inguaribile senso di ‘Spleen et Ideal’. Importante resta, come annotato dalla Cace, la fase pittorica definita ‘etnografica’ dove Lallich applica una tecnica impressionistica alla descrizione della sua terra e dei suoi costumi. In Francia, o meglio a Parigi, dove aveva soggiornato l’artista, incominciava ad affermarsi la tecnica pittorica dell’impressionismo. Emanuele Merlino è un autore teatrale che si occupa di teatro storico, ed è vicepresidente nazionale del Comitato 10 Febbraio. Attualmente sta girando l’Italia con uno spettacolo sulla Grande Guerra, ed è anche il regista di ‘Supermagic’, il più grande festival europeo di magia ed illusionismo d’Europa. L’idea di ispirarsi al libro di Carla Cace per Emanuele Merlino nasce dalla storia del protagonista. Una vita dedicata all’arte e un’arte che prende spunto dalla vita. Descrivere i paesaggi e i volti della Dalmazia per Lallich non è stato soltanto uno sfoggio di notevoli capacità, ma era un’affermazione di appartenenza. Lallich proprio per il suo essere italiano è costretto a lasciare la Dalmazia passata, dopo la prima guerra mondiale, al Regno di Jugoslavia. Come autore Merlino si concentra sempre su personaggi guidati e tormentati dalle passioni. Così tormentati e appassionati da creare arte o momenti di bellezza. Lallich ne è un esempio perfetto e il libro della Cace lo mostra benissimo. Afferma Merlino: ‘Lo spettacolo quindi è liberamente ispirato ma segue lo stesso filone di ricerca, per quanto la formula espressiva sia totalmente diversa: talento, passione e identità italiana. Con questo monologo, la mia ricerca di personaggi, più o meno famosi, che hanno avuto il coraggio di affermare la propria identità attraverso l’arte o la politica. Personaggi che possano insegnare qualcosa anche a distanza di tanti anni. Attraverso Lallich, e le straordinarie capacità di un attore, o meglio di un interprete, come Mauro Serio, non voglio raccontare soltanto l’identità culturale della Dalmazia ma anche e soprattutto l’urgenza del pittore di mettersi in gioco. Di creare capolavori grazie al proprio talento. Un talento che però senza passione, cuore e amore, per una donna, per la propria terra, per un ideale, non può né esistere né esprimersi’. Mauro Serio è un conduttore televisivo, e attore italiano, nato a Taranto. Dopo un breve periodo di praticantato, inizia a lavorare nei teatri cittadini cimentandosi sia in testi d’avanguardia che in testi classici, partecipando all’allestimento di famose operette. Nel 1980 trasloca a Roma, dove continua a studiare ed a recitare a teatro. Nel 1992 viene chiamato dall’emittente nazionale ‘Telemontecarlo’ a far parte del cast del programma televisivo per ragazzi ‘Amici mostri’, assieme ad Alessia Marcuzzi, Fulvio Falzarano e Massimo Sangermano. Nel 1994 passa alla Rai dove presenta i programmi per ragazzi ‘Che fine ha fatto Carmen Sandiego?’, su Rai 2, e soprattutto ‘Solletico’ su Rai 1, curioso mix di animazione giovanile e cartoni animati che non trascurava momenti più importanti, ad esempio quelli inerenti all’arte ed alla storia. Il suo stile simpatico ma garbato gli diede l’opportunità di vincere più volte il Telegatto. Dal 2001 si allontana dal mondo della televisione ma continua con il suo impegno teatrale. Serio interpreta il testo di Merlino con parole che sono sempre legate al suono, che è necessario per trasmettere concetti e stati d’animo in modo fortemente evocativo. Ovviamente, e di conseguenza, le parole se recitate hanno la doppia funzione di suono e di contenuto, sia esso informativo che emotivo, e sono utili ai fini della comunicazione, sia essa personale che collettiva. Questo vale per la scrittura creativa, che sempre proviene dall’animo dello scrittore fin quando non viene consegnata alla collettività in forma scritta. E’ necessario, come condizione base, osservare il mondo, metabolizzarlo emotivamente, ritrasformarlo interiormente, fissarlo in forma scritta e consegnarlo, in questo caso, all’interprete. La speranza è ovvia, ed è quella che l’osservatore, o lo spettatore, possa riconoscere il processo creativo dell’autore e attraversare il percorso in senso inverso. Quando uno scritto, anziché essere letto direttamente, viene ascoltato, con il linguaggio del corpo, e il modo di leggere, lo spettatore interpreta il testo aggiungendo la dimensione teatrale della dizione e della recitazione. Nel testo di Merlino, e di conseguenza della Cace, nella interpretazione di Serio si coglie il senso del ‘ritorno’, ovviamente inteso in senso astratto. E’ un tentativo di indagare nella propria storia le radici delle proprie sofferenze. L’interpretazione di Serio è stata impeccabile anche nella sua innata capacità del rialzo del tono della voce, e nella vivificazione del dialetto veneziano ben espresso nella recitazione. Nella sua interpretazione Serio è impeccabile anche quando recita in dialetto veneziano, alzando la voce e modulandola nel giuramento della bandiera, che racconta il Giuramento di Perasto e il ‘Ti con nu, nu con ti’ come solo l’Arte sa fare: ‘In sto amaro momento, che lacera el nostro cor; in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, el Gonfalon de la Serenissima Repubblica ne sia de conforto, o Cittadini, che la nostra condotta passada che quela de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu. Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l’Europa, che Perasto ha degnamente sostenudo fino all’ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co’ sto atto solenne e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto. Sfoghemose, cittadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti coi quai sigilemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto el Serenissimo Veneto Governo, rivolzemose verso sta Insegna che lo rappresenta e su ela sfoghemo el nostro dolore’. Ritorno per concludere a Lallich che dipinge fiori e piante, e ricorda lo sradicamento, ovvero, la perdita delle radici. E che parla di sangue anche nel testo di Merlino. Assistendo alla performance pensavo all’usignolo e la rosa, racconto di Oscar Wilde. L’usignolo cercava una rosa rossa per regalarla ad uno studente che voleva danzare con una ragazza delle quale era innamorato. Ma si trovavano solo rose bianche. L’usignolo, che vedeva il giovane studente come un vero innamorato, decise di sacrificarsi, perché l’Amore val più della Vita ed è perfetto solo nella Morte. Di conseguenza puntò una spina e mentre si perforava il cuore, cantò. L’uccellino soffrì per tutta la nottata e quando il cespuglio lo chiamò per dirgli che la rosa era diventata rossa era ormai morto. Il mattino seguente, quando si svegliò e aprì il balcone, lo studente vide nel giardino la rosa rossa. Meravigliato, disse che era la rosa più rossa e bella del mondo e tutto felice andò dal suo amore. Quando fu lì, porse la rosa alla ragazza, ma lei, senza gratitudine, la rifiutò. Aggiunse che aveva appena ricevuto alcuni gioielli favolosi da un altro ragazzo e che tutti sapevano che i gioielli costavano più dei fiori. Così il giovane studente gettò via la rosa, che finì nel fango. Questo mi ha fatto pensare a Lallich, al suo ‘cuore bianco’ e a tutte le stragi dell’epoca che coloravano di sangue le storie umane. E mi ha fatto pensare ad una rosa che lascia il suo bocciolo come avviene nella festa veneziana di San Marco. In conclusione la serata è stata intensa e bellissima grazie anche alla sala che la ospitava e che raccoglieva in un tutt’uno gli spettatori presenti fortemente coinvolti dalla rappresentazione.
Roberto Cristiano