Reddito di cittadinanza, escluso chi presenterà le dimissioni dal proprio posto di lavoro

Il reddito di cittadinanza non verrà erogato a chi lascerà il posto di lavoro: ecco una delle limitazioni previste per poter percepire il sussidio.

Tanto discusso e anche molto atteso, il reddito di cittadinanza è nato con lo scopo di fornire un supporto economico a coloro che hanno un reddito inferiore ai 780€ al mese. Questo vale per i lavoratori e per i pensionati, ma anche per i disoccupati che non hanno reddito. Il tetto massimo del sussidio ammonta a 780€, mentre coloro che non raggiungono tale somma, riceveranno un’integrazione fino al raggiungimento di questo importo. Si tratta di una misura che partirà – stando a quanto definito dal Governo – dal 1° aprile del 2019 e il sussidio verrà riconosciuto attraverso una carta acquisti, da utilizzare solo per il pagamento delle bollette e per comprare beni di prima necessità.

Attenzione però, perché non mancano le limitazioni, legate ad esempio al patrimonio immobiliare e mobiliare, al possesso di risparmi, ma anche all’Isee della famiglia.

Ma non sono le uniche: per evitare che lavoratori con uno stipendio inferiore ai 780€ si licenzino (senza una motivazione valida), il Governo ha posto dei paletti per poter accedere al sussidio.

Stando a quanto presente nella bozza di legge infatti, chi si dimette dal lavoro, non percepirà il reddito di cittadinanza per un anno. Dunque, per ben 12 mesi decade il diritto del sussidio e oltre a riguardare il dipendente stesso, si estenderà anche alla sua famiglia. Una penalizzazione piuttosto pesante, ideata con l’intento di evitare che chiunque acceda con estrema facilità al reddito di cittadinanza. Quest’ultimo infatti è stato proposto per aiutare chi un lavoro non ce l’ha o lo sta cercando, perché quindi ci potrebbero essere persone interessate a lasciare il proprio posto di lavoro? La risposta è molto semplice anche se scoperchia uno scenario poco idilliaco: le retribuzioni non sono alte e non tutti raggiungono i 780€ mensili. Ci sono inoltre lavoratori che pur lavorando 8 ore al giorno (il corrispondente di un full time), si ritrovano tra le mani uno stipendio più consono ad un lavoro part time.

Tuttavia, bisogna considerare che la penalizzazione non dovrebbe riguardare chi è in maternità o anche coloro che presentano le dimissioni per giusta causa.

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