‘Siamo rimasti un po’ interdetti dall’assurda campagna di odio che sta montando nei nostri confronti a meno di un mese dall’appuntamento referendario del 4 dicembre’, scrive la redazione di ‘Basta un Sì’, lamentando gli attacchi informatici che per l’ennesima volta hanno colpito il loro sito. Osserviamo quel che succede, afferma il Comitato per il ‘Si’ al referendum costituzionale, e non riusciamo a capire come sia possibile che un confronto su un tema così importante per tutti noi possa trasformarsi in una campagna di bufale violenta, da parte di chi cerca di mistificare i contenuti della riforma per allarmare l’opinione pubblica sul nulla; chi diffonde costantemente notizie false o false interpretazioni; chi cerca di intimidirci mandando foto di pallottole; chi riempie i nostri social di commenti offensivi e via dicendo. Nel suo lungo intervento pubblicato sul sito il Comitato ha inoltre lamentato un confronto politico sull’argomento a volte sconfortante e poco onesto intellettualmente. C’è chi la riforma l’ha votata ripetutamente alla Camera o al Senato, spiega la redazione di ‘Basta un Sì’, chi l’ha difesa più volte in aula e pubblicamente, chi ha promesso agli elettori durante le campagne politiche di fare quel che questa riforma fa, e che l’ha messo nero su bianco nei programmi elettorali. Eppure ora li vediamo in prima linea sul fronte opposto, che invitano i cittadini a votare No perché gli equilibri politici sono cambiati, per puro interesse personale o partitico. Riepiloghiamo in breve i contenuti del referendum costituzionale:
Viene superato l’anacronistico bicameralismo paritario indifferenziato, con la previsione di un rapporto fiduciario esclusivo fra Camera dei deputati e Governo. Pregio principale della riforma, il nuovo Senato delinea un modello di rappresentanza al centro delle istituzioni locali. E’ l’unica ragione che oggi possa giustificare la presenza di due Camere. Ed è una soluzione coerente col ridisegno dei rapporti fra Stato-Regioni. Ne trarrà vantaggio sia il rapporto fiduciario fra Governo e Parlamento, che rimane in capo alla sola Camera dei deputati, superando così i problemi derivanti da sistemi elettorali diversi, sia l’iter di approvazione delle leggi.
I procedimenti legislativi vengono articolati in due modelli principali, a seconda che si tratti di revisione costituzionale o di leggi di attuazione dei congegni di raccordo fra Stato e autonomie, dove Camera e Senato approvano i testi su basi paritarie, mentre si prevede in generale una prevalenza della Camera politica, permettendo al Senato la possibilità di richiamare tutte le leggi, impedendo eventuali colpi di mano della maggioranza, ma lasciando comunque alla Camera l’ultima parola. La questione della complicazione del procedimento legislativo non va sopravvalutata, poiché non appare diversa la situazione di tutti gli Stati composti: in ogni caso, e di nuovo in continuità con le esperienze comparate, la riforma prevede la prevalenza della Camera politica.
La riforma del Titolo V della Costituzione ridefinisce i rapporti fra lo Stato e Regioni nel solco della giurisprudenza costituzionale successiva alla riforma del 2001, con conseguente incremento delle materie di competenza statale. Nello stesso tempo la riforma tipizza materie proprie di competenza regionale, cui corrispondono in gran parte leggi statali limitate alla fissazione di ‘disposizioni generali e comuni’. Per la prima volta, non si assiste ad un aumento dei poteri del sistema regionale e locale, bensì ad una loro razionalizzazione e riconduzione a dinamiche di governo complessive del paese. La soppressione della legislazione concorrente non è prodromica tuttavia all’azzeramento delle competenze regionali, poiché serve solamente a razionalizzare in un’ottica duale il riparto delle materie, e comporta di per sé una riallocazione naturale allo stato, o alle regioni, della competenza a disciplinare, rispettivamente, i principi fondamentali e le norme di dettaglio che già spettava ad ognuno di essi. Inoltre, l’impianto autonomistico delineato dall’art. 5 della Costituzione non viene messo in discussione perché la riforma pone le premesse per un regionalismo collaborativo più maturo, di cui la Camera delle autonomie territoriali costituirà un tassello essenziale. Con la riforma, peraltro, non viene meno il principio di sussidiarietà e dunque la dimensione di una amministrazione più vicina al cittadino rimarrà uno dei principi ispiratori della Costituzione.
I poteri normativi del governo vengono riequilibrati, con una serie di più stringenti limiti alla decretazione d’urgenza introdotti direttamente nell’articolo 77 della Costituzione, per evitare l’impiego elevato che si è registrato nel corso degli ultimi anni e la garanzia, al contempo, di avere una risposta parlamentare in tempi certi alle principali iniziative governative tramite il riconoscimento di una corsia preferenziale e la fissazione di un periodo massimo di settanta giorni entro cui il procedimento deve concludersi.
Il sistema delle garanzie viene significativamente potenziato: il rilancio degli istituti di democrazia diretta, con l’iniziativa popolare delle leggi e il referendum abrogativo rafforzati, con l’introduzione di quello propositivo e d’indirizzo per la prima volta in Costituzione; il ricorso diretto alla Corte sulla legge elettorale, strumento che potrà essere utilizzato anche sulla nuova legge elettorale approvata; un quorum più alto per eleggere il Presidente della Repubblica. Del resto i contrappesi al binomio maggioranza-governo sono forti e solidi nel nostro paese: dal ruolo della magistratura, a quelli parimenti incisivi della Corte costituzionale e del capo dello Stato, a un mondo associativo attivo e dinamico, a un’informazione pluralista.
Viene operata una decisa semplificazione istituzionale, attraverso l’abolizione del Cnel e la soppressione di qualsiasi riferimento alle province quali enti costitutivi della Repubblica.
Infine, lo sforzo per ridurre o contenere alcuni costi della politica è significativo: 220 parlamentari in meno (i senatori sono anche consiglieri regionali o sindaci, per cui la loro indennità resta quella dell’ente che rappresentano); un tetto all’indennità dei consiglieri regionali, parametrata a quello dei sindaci delle città grandi; il divieto per i consigli regionali di continuare a distribuire soldi ai gruppi consiliari; e, senza che si debba aspettare la prossima legislatura, parimenti alle due novità precedenti, la fusione degli uffici delle due Camere e il ruolo unico del loro personale.
L’iter della riforma è durato oltre due anni, è passato per sei letture, tre per ciascuna Camera, con quasi seimila votazioni e l’approvazione di oltre cento emendamenti.
Il testo, con le modifiche che il Parlamento ha voluto, si ispira inoltre direttamente alle proposte della Commissione per le riforme costituzionale istituita dal Governo Letta nel 2013, che rispecchiavano l’opinione largamente maggioritaria fra gli studiosi di ogni orientamento che presero parte a quella Commissione.
Il procedimento di revisione costituzionale si innesta sul procedimento legislativo ordinario, sicché non esiste alcun problema costituzionale nel fatto che il testo sia stato presentato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro per le riforme istituzionali, né vi sono dubbi sulla legittimità di questo Parlamento, considerando che la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale ha stabilito che i suoi effetti sulla legge elettorale si applicano per il futuro e non per i periodi precedenti. Si aggiunga che non può che essere apprezzato positivamente il rispetto della procedura prevista in Costituzione per la revisione costituzionale.
Gli elettori sono chiamati a pronunciarsi solo sulla riforma costituzionale, non anche sulla legge elettorale della Camera: la legge 52/2015, infatti, sarà comunque già operativa dal luglio prossimo e, in caso di approvazione della riforma, sarà soggetta a controllo di costituzionalità. In astratto varie leggi elettorali sono compatibili con la riforma costituzionale e con la scelta di rendere l’elettore arbitro della scelta sulle maggioranze.
Il referendum su questo testo è stato voluto sia da coloro che l’hanno contrastato sia da coloro che l’hanno sostenuto. Infatti per una legislatura nata fra tante difficoltà e sulla base di una legge elettorale dichiarata in parte illegittima, appare naturale che una scelta così importante sia comunque affidata, in ultima analisi, all’insieme del corpo elettorale.
I cittadini sono chiamati a un giudizio sintetico e complessivo. Se si dovessero artificialmente separare i contenuti in più quesiti, rischieremmo di ottenere esiti schizofrenici, come mantenere il bicameralismo paritario e non invece la riforma dell’assetto regionale, o l’esito opposto. Né sarebbe pensabile che nello stesso procedimento i parlamentari votino sull’insieme e i cittadini no. Il tema dell’omogeneità è dunque una questione totalmente infondata, poiché nasce come requisito imposto dalla Corte costituzionale ai quesiti referendari abrogativi: lì si trattava di porre un argine alla aggregazione di quesiti e alla fantasia manipolatoria dei proponenti, da cui potevano risultare esiti confusi o illegittimamente additivi; nel referendum costituzionale, invece, la valutazione di omogeneità del contenuto è stata già fatta dal legislatore costituzionale, che ha ritenuto di tenere insieme alcuni precisi elementi di riforma.
Lungi dal tradire la Costituzione, si tratta di attuarla meglio, raccogliendo le sfide di una competizione europea e globale che richiede istituzioni più efficaci, più semplici, più stabili.
Per tutte queste ragioni di metodo e di merito la grande discussione nazionale, che si apre in queste settimane, e che continuerà fino alla vigilia della consultazione referendaria, potrà persuadere i cittadini italiani della bontà della riforma approvata con coraggio dal Parlamento e della sua utilità per il miglior governo del Paese.
Cocis