Referendum e Renzi: ‘Con questa riforma rottamo la Casta’

Sia il Financial Times che il Wall Street Journal dedicano un articolo al referendum italiano e alle possibili conseguenze politiche ed economiche, segnalando entrambi possibili rischi per l’euro. Il Wsj, in prima pagina, sottolinea i rischi per gli investitori che si preparano al tumulto, mentre il Ft gli dedica un commento nelle pagine interne, firmato da Wolfgang Munchau che vede dopo il referendum il rischio di una nuova crisi della zona euro. In caso di vittoria del ‘no’, Munchau sul Ft prevede una sequenza di eventi che metterebbe in dubbio l’appartenenza dell’Italia alla zona euro. Una possibilità inquietante che non ha nulla a che fare con il referendum stesso, ma con altre cause. La prima è la debole performance economica del Paese che ha perso il 5% di produttività dall’adozione dell’euro nel 1999, mentre in Germania e Francia è salita del 10%. La seconda è il fallimento dell’Ue che non ha saputo costruire una vera Unione economica e bancaria dopo la crisi del 2010-2012 e ha invece imposto l’austerità.  ‘Quella sul referendum è diventata una sfida aberrante. Obiettivo non è tagliare il numero dei parlamentari, ma avere un Senato che rappresenti i territori e che sia più snello. L’obiettivo non è tagliare le poltrone’,  dice Giorgio Napolitano a ‘Porta a Porta’ sostenendo: ‘Non condivido quelle motivazioni. Ma al referendum non giudichiamo Renzi. L’occasione per farlo la avremo alle prossime elezioni, fissate per il 2018’. Prima ancora che resettare il Senato o abolire il Cnel, il referendum chiama alla resa dei conti lo scenario politico che la seconda Repubblica ha  reso non più ristrutturabile. I conti si fanno con lo sfarinamento di questo assetto di società,   e il tutto pare agganciato ad una più generale tendenza nel mondo ad accentrare i poteri, con una spolverata di nazionalismo e di populismo, facendo franare sempre più velocemente le ragioni che stanno alla base della esistenza dei partiti.  Come si uscirà  allora dallo scontro sul referendum è difficile da ipotizzare.  Il sì consegnerà a Renzi un potere forte, il no aprirà  una fase di instabilità politica. Se respinto, il referendum avrà il potere di far tremare i titoli bancari, spingere gli spread ed indebolire ulteriormente l’euro, scrive invece il Wsj. I recenti sondaggi, che danno il ‘no’ avanti hanno innervosito gli investitori. Ma le vendite sui mercati in caso di vittoria del ‘no’ potrebbero avere vita breve, come avvenuto con il voto Usa e con la Brexit. ‘Rispetto le valutazioni dei banchieri internazionali. Io la vedo così: il referendum è atteso da 35 anni perché tutti dicono che la carenza di riforme infrastrutturali è stato il primo elemento di deficit di competitività del Paese’, così  risponde il premier: ‘Siamo a un bivio in cui si può finalmente cambiare. Si vota su una semplificazione del sistema che darà più stabilità e più forza all’Italia in Europa e nel mondo. Si può sempre fare meglio ma siamo a un punto decisivo e delicato. Ma il punto è che se il referendum passa l’Italia ha una forza e una solidità anche rispetto ad altri Paesi europei impressionante. Se non passa niente di male, manteniamo un sistema in cui i veti e controveti dei giochi politici sono quel che sappiamo e non dirò accozzaglia, ma una variegata coalizione dovrà dire non solo No ma raccontare cosa pensa’. Come si uscirà   dallo scontro sul referendum è difficile da ipotizzare.  Ma è certo che siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Il sì consegnerà a Renzi un potere forte, il no aprirà  una fase di instabilità politica. Con la riforma Renzi c’è una chiara svolta in nome del superamento del bicameralismo paritario. Per i sostenitori del ‘ No’ è stato  proposto qualcosa che non è un senato federale, né un senato delle regioni,  ma un papocchio,  o una camera di serie B non eletto direttamente dai cittadini. La scelta tra Sì e No, nel referendum del 4 dicembre, è destinata ad avere un impatto, restando alle Regioni,  anche sul futuro della sanità. A spiegare quali sarebbero le conseguenze del ‘Sì’, nelle ultime settimane, è stato in particolare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, in prima linea per il varo della riforma costituzionale: ‘Bisogna votare sì, ne sono fortemente convinta, per la prima parte della Costituzione dove finalmente togliamo il bicameralismo perfetto, e per la seconda parte che toglie la materia concorrente alle Regioni e mette mano al titolo quinto: per me che sono ministro della Salute forse la più importante.  Se cambia il titolo quinto non ci sarà più differenza da Regione a Regione, perché i piani diagnostici e terapeutici sono normativa generale di competenza dello Stato e le regioni dovranno applicare le disposizioni che il ministero farà con le società scientifiche, in modo concordato’. Un correttivo per chiarire le competenze che, secondo il ministro, darà inoltre un accesso all’articolo 32 della Costituzione uguale in tutto il paese o quantomeno molto più uguale rispetto a come vengono oggi le cose. Quando entra in gioco il diritto alla salute, lo Stato deve poter intervenire perché chi ha pagato il conto salatissimo dell’incapacità di organizzare non sono stati gli assessori ma i cittadini, con tasse e disservizi. ‘Noi da 17 anni viviamo con un sistema in cui tutte le funzioni organizzative e di programmazione sono date in mano alle Regioni, ma anche altre che rimarrebbero in capo allo Stato sono in realtà fatte in modo concorrente. La concorrenza fra le funzioni statali e regionali ha provocato in questi anni una serie di disservizi molto importanti che alla fine hanno pagato i cittadini. Abbiamo visto l’esito: metà Italia è sotto commissariamento. Con il varo della riforma si cambia, ma non si torna indietro, lo Stato non riaccentra tutte le sue funzioni. Rimane un sistema regionale ma su binari molto chiari, per cui le Regioni avranno in modo esclusivo la funzione organizzativa e di programmazione, senza necessità di concerto o di intesa con lo Stato. E lo Stato avrà in modo esclusivo le disposizioni generali in tema di salute, bene comune e sicurezza alimentare. In termini pratici, questo significa per esempio che le linee guida per i piani diagnostici terapeutici le dà lo Stato e le Regioni le devono applicare secondo i loro modelli organizzativi, ma senza tradire quelle che sono le linee generali. Se una Regione non garantisce il diritto alla salute dei propri cittadini, non garantisce l’accesso alle prestazioni, e i Lea, lo Stato potrà intervenire esercitando con la clausola di supremazia un potere sostitutivo, al fine di garantire quindi che i cittadini abbiano la stessa qualità dei servizi. Le Regioni particolarmente virtuose che hanno non solo i conti in regola ma anche i servizi, potranno chiedere allo Stato di esercitare competenze che non sono prettamente definite dalla Costituzione come proprie’, sottolinea la Lorenzin.

Roberto Cristiano

 

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