Referendum: i 5 quesiti sulla giustizia e cosa cambia se vince il sì

Domani si terranno cinque referendum sulla giustizia, promossi da Lega e Radicali, che riguardano l’abrogazione del decreto Severino in materia di incandidabilità, la limitazione delle misure cautelari, la separazione delle funzioni dei magistrati, l’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm e il voto nei Consigli giudiziari.

Quesito n. 1. Abrogazione della legge Severino. La legge, del 2012, prende il nome dell’allora ministra della Giustizia, Paola Severino (Governo Monti) e prevede l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Con il sì “viene abrogato il decreto e si cancella così l’automatismo – scrivono i promotori – si restituisce ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, occorra applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici”. Secondo il ‘Comitato per il no’, il quesito referendario “non affronta gli eventuali punti critici ma propone l’abrogazione tout court” e “viene incontro alla diffusa insofferenza del ceto politico per il controllo di legalità ma danneggia fortemente l’interesse dei cittadini alla correttezza dell’agire pubblico”.

Quesito n. 2. Limitazione delle misure cautelari. La carcerazione prima della condanna definitiva, viene applicata in Italia, in via cautelare, quando sussistano per l’indagato, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, pericolo di fuga o di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. Con una vittoria del sì, scrivono i promotori, “resterebbe in vigore la carcerazione preventiva per chi commette reati più gravi e si abolirebbe la possibilità di procedere alla privazione della libertà in ragione di una possibile ‘reiterazione del medesimo reato'”. Secondo il ‘Comitato per il no’, “abolire del tutto le misure cautelari coercitive nel caso di pericolo di reiterazione del reato”, così come prevede il referendum salvo rarissime eccezioni, come per mafia e terrorismo, “espone le vittime del reato ed i soggetti più deboli a gravi rischi e pericoli non altrimenti evitabili”.

Quesito n.3. Separazione delle carriere. In caso di vittoria del sì, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale. Secondo i promotori, la “contiguità” tra giudice e pubblico ministero, “crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico”. Secondo il ‘Comitato per il no’, “l’unico effetto” di una vittoria dei sì, sarebbe quello di “allontanare il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione e creare le premesse perché, in seguito, con una riforma costituzionale possa di nuovo essere ristabilita qualche forma di controllo politico sull’esercizio dell’azione penale”.

Quesito n. 4. Equa Valutazione dei Magistrati. Si chiede di riconoscere, anche ai membri ‘laici’ dei Consigli giudiziari, avvocati e professori, di partecipare attivamente alla valutazione dell’operato dei magistrati. Secondo il ‘Comitato per il no’, sebbene il referendum in questione sia dei cinque “quello più inoffensivo”, se passasse “un giudice si potrebbe trovare di fronte, in aula, un avvocato che potrebbe poi influenzare, col suo voto, un eventuale avanzamento di carriera”.

Quesito n. 5. Riforma del Csm. In caso di vittoria del sì, verrebbe abrogato l’obbligo, per un magistrato che voglia essere eletto a Palazzo dei Marescialli, di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura. Con il sì, scrivono i promotori, “avremmo votazioni che mettono al centro il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico”. Secondo il ‘Comitato per il no’, “si tratta di un quesito inutile, che propone una non riforma: esprime soltanto un segnale politico di diffidenza verso l’associazionismo ed il pluralismo culturale all’interno del corpo dei magistrati”. Perché il risultato dei referendum sia valido, è necessario si rechi alle urne almeno la metà degli aventi diritto più uno.

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