Renzi afferma che se vince il ‘No’ al referendum si rischia un governo tecnico, ma nel dibattito irrompe il Financial Times, che sentenzia: ‘Con il No a rischio otto banche. Gli otto gli 8 istituti a rischio sono, sempre secondo il foglio della City: Monte dei Paschi di Siena, la Popolarte di Vicenza, Carige, Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e CariFerrara. Citando funzionari e banchieri di alto livello, FT sostiene che l’eventuale vittoria del ‘No’ tratterrebbe gli investitori dal ricapitalizzare gli istituti in difficoltà: ‘Renzi che ha detto che si dimetterà se perderà il referendum, ha promosso una soluzione di mercato per risolvere i problemi da 4.000 miliardi di euro del sistema bancario italiano e nel caso di dimissioni di Renzi i banchieri temono la protratta incertezza durante la creazione di un governo tecnico’. Gli economisti, in pratica, dovrebbero predire il futuro e analizzare il presente, e annunciano che se domenica prossima non dovesse passare il ‘Sì’ al referendum un nutrito gruppo di banche italiane fallirebbe. Nella realtà è un ulteriore endorsement per dare a Matteo Renzi la spinta necessaria per tagliare vittorioso il traguardo. Continua, intanto, la campagna referendaria del presidente del Consiglio a sostegno del ‘Sì’, unica via, dice, per scongiurare il rischio governo: ‘Non starò a vivacchiare se vincesse il ‘No’. Schierato per il ‘No’, invece, l’ex presidente del Consiglio dell’ultimo governo tecnico del nostro Paese: Mario Monti. A Sky TG24, aggiunge poi di non prevedere né auspicare un governo tecnico. Monti, motiva il suo voto contrario al prossimo referendum costituzionale, affermando che si sente estraneo all’establishment. Peccato che abbia ricoperto la carica di presidente del Consiglio, ricoprendo ad interim un lungo elenco di caselle ministeriali, di commissario europeo per il mercato interno, di commissario europeo per la concorrenza; in più è stato international advisor di Goldman Sachs, advisor di Coca Cola, membro del senior advisory council di Moody’s. All’elenco va aggiunta anche la presidenza della Bocconi. Questo, nella brutale realtà, non sembra essere questo il curriculum di un uomo lontano dall’establishment. Strade diverse ma obiettivo comune per il fronte del ‘No’, che tra piazze e teatri, lavora per l’appuntamento del 4 dicembre. Lega Nord e Fratelli D’Italia ribadiscono la necessità di aprire una fase nuova dal 5 dicembre. Riguardo al fronte del ‘No’ c’è da dire che a bocciatura della riforma della dirigenza da parte della Corte costituzionale ha ridimensionato la credibilità di questo governo. La bocciatura di quattro articoli riguardanti proprio la dirigenza conferma l’incapacità di questo governo di legiferare in maniera chiara e semplice come è provato dalla riscrittura della seconda parte della Costituzione piena di commi incomprensibili, di rinvii a leggi di attuazione da definire in tempi non meglio identificati, di commi spostati con il taglia e incolla (comma 3 dell’art. 117 sulle competenze concorrenti) e con il copia e incolla (comma 2 dell’art. 120 sulla tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica, c.d. clausola di supremazia che ora ricorre tre volte). Inoltre c’è da considerare il voto degli attuale senatori che perderebbero il posto in ben 241. Molti di loro hanno un seguito politico e possono influenzare il voto dei loro elettori. Poi c’è il voto degli attuali consiglieri delle Regioni a statuto ordinario che si vedono espropriati di molte competenze legislative e ridotti i loro emolumenti ordinari. Anche loro hanno un elettorato e potrebbero influenzarlo. Inoltre, la situazione economica, nonostante la flebile ripresa, vede ancora circa 7 milioni di persone senza lavoro tra disoccupati e scoraggiati, 4,1 milioni di soggetti in povertà assoluta, 11 milioni di persone che rinunciano a curarsi per mancanza di mezzi, una forte crescita delle diseguaglianze ed una incertezza sul futuro sconsideratamente alimentata dallo stesso governo. Tutti questi elementi non dovrebbero giocare a favore di una riforma costituzionale che non ha alcuna rilevanza ai fini del rilancio della crescita del reddito e dell’occupazione. Anche la residua minoranza interna del PD dovrebbe giocare a favore del ‘No’, specialmente quella che non ritiene affidabile la recente promessa di Renzi circa la modifica della legge elettorale, ovvero l’Italicum. Al di là della propaganda governativa secondo cui non esisterebbe una correlazione stretta tra riforma costituzionale e quella elettorale, è un fatto che l’accordo con Cuperlo conferma quello che dai giuristi viene definito il combinato disposto. In effetti i sostenitori del ‘Sì’ e del ‘No’ appaiono in ‘incollatura’ e gli indecisi e gli astenuti potrebbero giocare un ruolo decisivo.
Roberto Cristiano