Il Presidente della Repubblica congela le dimissioni che Renzi gli ha presentato al Quirinale vista la necessità di completare l’iter parlamentare della manovra e per scongiurare i rischi di esercizio provvisorio. Il premier potrà lasciare ‘al compimento di tale adempimento’, presumibilmente venerdì’. Dopo la vittoria del ‘No, al Referendum costituzionale, 59,11% contro 40,89%, Mattarella ha ricordato che in Italia c’è una ‘democrazia solida’ e ‘scadenze da rispettare’. Per questo, ‘il clima politico sia improntato al rispetto reciproco’. Renzi al risveglio del dopo-voto voleva lasciare tutto e subito: sia il governo e, secondo alcuni, perfino la guida del Pd: ‘L’ho detto, sono diverso dagli altri, non posso restare un giorno in più’, era inamovibile il premier agli alleati e ai fedelissimi che gli chiedevano di restare almeno fino a fine anno. C’è voluta una paziente moral suasion del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durata per tutta la giornata, a convincere il segretario Pd a ‘congelare’ le dimissioni fino all’approvazione della legge di bilancio che il governo vuole in tempi brevissimi ma che ha riti e passaggi che comunque richiedono tempo. In fondo si tratta solo di qualche giorno di sacrificio, ha detto il presidente. E Renzi si è convinto solo quando si è capito che l’approvazione della manovra potrebbe essere rapidissima. ‘Il Presidente della Repubblica, considerata la necessità di completare l’iter parlamentare di approvazione della legge di bilancio onde scongiurare i rischi di esercizio provvisorio, ha chiesto al Presidente del Consiglio di soprassedere alle dimissioni per presentarle al compimento di tale adempimento’, si legge in una nota del Quirinale al termine dell’incontro, al Quirinale, tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Matteo Renzi. Ma resta tutto ancora da sciogliere il nodo della durata del prossimo Governo che per Renzi dovrebbe chiudere il capitolo della legge elettorale e portare a elezioni anticipate in tempi brevissimi. L’approvazione della manovra non frena però la ricerca della soluzione per il dopo. E giochi e contatti sono già partiti. In pole nei gradimenti del Pd sarebbe un esecutivo guidato da Pier Carlo Padoan che confermerebbe un buon numero degli attuali ministri, al netto di quelli strettamente renziani come il ministro Boschi, anche lei ferma nell’intenzione di lasciare. La richiesta dei vertici Pd, spiegano fonti di maggioranza, è di un governo di scopo di brevissima durata per tornare, dopo la riforma dell’Italicum, alle urne già a marzo o al massimo a giugno. La formazione di un nuovo governo avviene attraverso diverse fasi più o meno articolate che vanno dalle consultazioni, fase preparatoria, all’incarico, fino a quella che caratterizza la nomina. Una volta accolte le dimissioni del presidente del Consiglio, per il Capo dello Stato si apre la fase preparatoria, durante la quale si svolgono le consultazioni che il Presidente della Repubblica avvia per individuare il potenziale premier in grado di formare un governo che possa ottenere la fiducia dalla maggioranza del parlamento. Tra le personalità che il Presidente della Repubblica consulta ci sono ad esempio i presidenti delle Camere, gli ex Presidenti della Repubblica e le delegazioni politiche, che propongono un candidato al quale affidare l’incarico o in alternativa la convocazione di elezioni anticipate. Questa avviene con la firma del Capo dello Stato di un decreto con il quale le Camere vengono sciolte ed entro mesi dalla data di fine della legislatura i cittadini vengono chiamati alle urne. Nonostante non sia espressamente previsto dalla Costituzione, il conferimento dell’incarico può essere preceduto da un mandato esplorativo che si rende necessario quando le consultazioni non abbiano dato indicazioni significative. Al di fuori di questa ipotesi, il Presidente conferisce l’incarico direttamente alla personalità che, per indicazione dei gruppi di maggioranza, può costituire un governo e ottenere la fiducia dal Parlamento. Il presidente del Consiglio incaricato deve aprire una trattativa con le forze politiche e cercare una coalizione che possa essere solida. Se esistono questi presupposti, deve rimettersi alla fiducia del Parlamento oppure rinunciare all’incarico. L’incarico è conferito in forma orale, al termine di un colloquio tra il Presidente della Repubblica e la personalità prescelta. Una volta conferito, il Presidente della Repubblica non può interferire nelle decisioni dell’incaricato, né può revocargli il mandato per motivi squisitamente politici. L’incaricato, che di norma accetta con riserva, dopo un breve giro di consultazioni, si reca nuovamente dal capo dello Stato per sciogliere, positivamente o negativamente, la riserva. Subito dopo lo scioglimento della riserva si perviene alla firma e alla controfirma dei decreti di nomina del Capo dell’Esecutivo e dei Ministri. Il procedimento si conclude con l’emanazione di tre tipi di decreti da parte del Presidente della Repubblica, con i quali nomina il Presidente del Consiglio, i singoli ministri e l’accettazione delle dimissioni del governo uscente. Prima di entrare in carica, il Presidente del Consiglio e i ministri devono prestare giuramento secondo la formula rituale indicata dall’art. 1, comma 3, della legge n. 400/88. Successivamente, entro dieci giorni dal decreto di nomina, il governo deve presentarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere la fiducia, voto che deve essere motivato dai gruppi parlamentari e avvenire per appello nominale, al fine di impegnare i parlamentari nella responsabilità di tale concessione di fronte all’elettorato. Il Presidente del Consiglio e i ministri assumono le loro responsabilità sin dal giuramento e prima della fiducia, e salvo crisi di governo, restano in carica 5 anni. Ma il 2017, tra l’anniversario dei Trattati di Roma a marzo e il G7 a guida italiana a fine maggio e, prevede impegni che richiedono un governo in carica. Davanti ad un orizzonte più lungo che potrebbe anche arrivare alla scadenza naturale della legislatura, Padoan potrebbe non essere più disponibile, per lealtà a Renzi, e, a quel punto, secondo i rumors, il presidente della Repubblica potrebbe puntare su una figura istituzionale come il presidente del Senato Pietro Grasso. Ma al momento si tratta di scenari perchè Mattarella, quando aprirà le consultazioni, ha intenzione di ascoltare con attenzione tutti i partiti.
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