Il premier Matteo Renzi è arrivato alla Direzione del Pd sul Jobs Act ed è entrato in auto da uno degli ingressi laterali del Nazareno. Prima di lui anche l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani era arrivato in auto evitando così la folla di cronisti assiepati all’ingresso principale. Tra gli altri, presenti anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, il ministro della P.a. Marianna Madia, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Anche Massimo D’Alema è alla direzione del Pd. “Vi propongo di votare con chiarezza al termine della direzione un documento che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni”, dice Matteo Renzi alla direzione Pd, proponendo profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare. “Serve un paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora. La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c’è uno Stato amico che li aiuta”. Non siamo un club di filosofi ma un partito politico che decide, certo discute e si divide ma all’esterno è tutto insieme. Questa è per me la ditta e propongo una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare”. E’ questa la decisione che il premier chiede di assumere alla direzione Pd. Sulle divisioni nel Pd sul jobs act, Renzi ha poi detto: “E’ vero che chi non la pensa come la segreteria non è uno dei Flintstones, come dice Cuperlo, ma è anche vero che chi la pensa come la segreteria non è come Margareth Thatcher. Non mi preoccupano le trame altrui, di coloro che si sentono spodestati e non chiamateli poteri forti, e nemmeno poteri immobili, chiamateli, forse con eccesso di stima, poteri aristocratici. Ottanta euro sono un fatto di dignità prima ancora che di giustizia sociale e sono importanti per milioni di italiani e non per 100 editorialisti”. Renzi ritorna quindi sui “poteri forti” e del loro attacco studiato, ne è quasi ossessionato e non si trattiene. Le critiche al suo esecutivo hanno provenienze diverse, spaziando dalla Cei alla minoranza Pd, ed a Diego Della Valle. Di fatto Renzi, oggi, non ha tutto il Pd dalla sua parte ma ha la certezza di avere la maggioranza. In merito Delrio dice il Pd è un grande partito e quindi è capace di trovare una sintesi. Cosa che non trova d’accordo Cesare Damiano che ritiene che la sintesi, innanzitutto sul Jobs Act, la deve trovare il segretario del partito, ovvero Renzi.