Renzi avvia il Pd in archivio

Il partito erede delle antiche formazioni politiche che lo hanno fondato è ormai al crepuscolo.

Il segretario del Pd sferza il partito, con lo scopo di farne il ‘il Partito della Nazione’, in altri termini un partito in grado di raccogliere consensi a destra e a sinistra. Renzi, se non sarà fermato dai suoi oppositori interni, tenderà a tagliare tutti quei legami con il passato che permettevano di definire il Pd come un partito post-comunista. Molti autorevoli commentatori politici assimilano Renzi a Berlusconi ed in questo c’è sicuramente qualcosa di vero. Entrambi per ragioni e fini politici diversi, sono i leader di una democrazia post-partitica, intendendo per questa una democrazia che non si fonda più su partiti radicati nella società, i cui principali punti di forza sono gli iscritti e la partecipazione collettiva. Quando Berlusconi nel 1994 scese in campo con Forza Italia, essa era una formazione creata ad immagine e somiglianza del suo leader e si sostituiva ai vecchi partiti, ad esclusione del Pci, che erano stati distrutti per via giudiziaria dall’inchiesta su Tangentopoli. Il Cavaliere con il suo movimento raccolse tutti, o quasi, i voti dei moderati. Il berlusconismo è stato,quindi, il sostituto dei vecchi partiti che per cinquant’anni avevano governato il Paese. L’unico partito sopravvissuto allo tsunami giudiziario fu il Pci, che per candidarsi al governo del Paese fu costretto a fare molte concessioni, dal sapore marcatamente trasformistico, ai nuovi tempi che inesorabilmente avanzavano. Da qui le varie denominazioni, Pds, Ds ed infine si giunge al partito democratico che nasce dalla fusione degli ex comunisti o post-comunisti e gli ex democristiani di sinistra  con il compito di continuità con il passato. E questo va avanti fino alle elezioni del 2013 che ne decreta lo stallo e l’anno successivo con l’arrivo di Renzi, il rottamatore, che non nasconde le sue ambizioni di vittorie che la vecchia classe dirigente ormai non è più in grado di garantire, inizia una nuova fase storica per il partito. Il nuovo segretario del Pd, manda letteralmente in frantumi il patto costitutivo su cui si reggeva il partito, e la fine di esso porta con sé la fine della vecchia formazione politica. Quello che sta succedendo  a livello periferico nel Pd, è l’inequivocabile annuncio della sua fine. La fine del post-comunismo e della sua ideologia obsoleta ed antistorica, è il prezzo che si deve necessariamente pagare se si vuol far nascere un vero partito della nazione, ossia un partito che sia in grado di raccogliere trasversalmente consensi.Questo partito dovrà sostituire il mancato radicamento nella società  con una crescita del potere dell’esecutivo. Per questo la riforma del Senato è di estrema importanza. La sua approvazione garantirà lunga vita ai governi che saranno alla guida del Paese. E senza dubbio consentirà anche a Renzi di consolidare la sua leadership per molti anni ancora. Proprio per questi motivi la minoranza interna al Pd, farà di tutto per fermarlo, perché è ben conscia che la sua fine è vicina ed il segretario è uno che non fa sconti a nessuno.

 

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