‘Sono mesi che cercano di mettermi da parte, ma non ci riusciranno nemmeno stavolta’, scrive Matteo Renzi nella sua ultima e news. Dire che il problema sono io, sottolinea, per il voto in Sicilia si colloca nello stesso filone: utilizzare ogni mezzo per togliere di mezzo l’avversario scomodo. Che poi è l’obiettivo di chi è contro di noi. Non a caso Di Maio rinuncia al confronto, non a caso Berlusconi per prima cosa attacca me e il Pd, prosegue il segretario del dem spiegando che il Pd, insieme ai compagni di viaggio può arrivare al 40%.
Personalmente credo nella squadra. Siamo un bel gruppo di persone e possiamo rivendicare sia i risultati del passato sia i progetti del futuro, ma per farlo torniamo a parlare liberi, in mezzo alla gente. Qui non si molla di un centimetro. E anzi l’Ottava edizione della Leopolda avrà come simbolo L8: lotto per iniziate a scrivere se sarete con noi dal 24 al 26 novembre e per cosa lottate voi. L8, lotto per altro che mollare.
Già oggi siamo in coalizione. E siamo pronti ad allargare ancora al centro e alla nostra sinistra. Le cose che abbiamo fatto al governo in questi anni hanno fatto uscire l’Italia dalla crisi, sia nel settore economico che in quello dei diritti. Se qualcuno ha idee migliori, le ascoltiamo volentieri. Non abbiamo veti verso nessuno, noi.
Dopo la vittoria alle primarie di sei mesi fa ho girato l’Italia in lungo e in largo. Ho ascoltato, incontrato, condiviso: eppure tutti i giorni si leggono solo notizie in politichese su accordi, litigi, discussioni. Quello che ci preme è far sì che il Pd stia in mezzo alla gente, non blindato nelle chiacchiere di palazzo.
Forse sarebbe il caso di dire che se qualcuno dentro il Pd pensa di passare i prossimi mesi a litigare fa un grande regalo a Silvio Berlusconi e a Beppe Grillo. Sono mesi che si discute, si media, si fanno compromessi, si limano documenti: una vita fantastica, lo immaginate.
Personalmente penso che sia arrivato il momento di cominciare la campagna elettorale. Da un lato c’è Berlusconi, dall’altro Grillo: due schieramenti pieni di estremisti e populisti. Noi siamo nel mezzo. Tiriamo fuori le migliori idee e i migliori candidati. E poi scelgano i cittadini. Ma quello che deve essere chiaro è che io non posso essere il segretario dei caminetti tra correnti, degli equilibri e dei bilancini: io sono perché tutti nel Pd si sentano a casa, rispettando il pluralismo e mettendo i migliori in lista. Ma sono anche perché finalmente si parli agli italiani e con gli italiani. Basta chiacchierarsi addosso. Con la Direzione Nazionale del 13 novembre si inizia la campagna elettorale, altrimenti facciamo il gioco degli avversari.
Per l’esito delle elezioni in Sicilia nessuno ha dato la colpa a Grasso, neanche il sottosegretario Faraone che ha rilasciato la dichiarazione contestata da tanti. Si è solo detto che se Grasso si fosse candidato, come gli era stato chiesto, i risultati sarebbero stati diversi.
In realtà non si comprende la sorpresa per la nuova sconfitta del Pd in Sicilia. Infatti, dopo la debacle nel referendum costituzionale del 5 dicembre 2016, il Partito democratico ha mostrato di non avere più linea strategica che coincide con la crisi della leadership di Matteo Renzi.
Una serie di sconfitte elettorali il cui presupposto risiede in un elemento che accomuna il Pd a parte delle socialdemocrazie europee, in primo luogo la Spd in Germania: se la sinistra, anche di orientamento moderatamente riformista, pratica politiche economiche e sociali di tipo liberista, perde il suo elettorato tradizionale, che viene attratto dalle falene del nazional-populismo in grado di esorcizzare l’insicurezza sociale, e non cattura i voti della destra di ceppo popolarista e conservatore. Questa destra, oggi, vota per l’originale e non per l’imitazione.
D’altra parte, anche l’attuale politica economica del governo-Gentiloni, con un ex tecnico del Fondo Monetario, Carlo Padoan, in via XX settembre, fondata su aumenti dissimulati delle tasse e qualche mancia elettorale, modifiche in peggio al sistema di previdenza pubblica con l’allungamento della vita lavorativa e il taglio delle pensioni e la riduzione dei diritti del lavoro, risponde al modello liberistico del ‘Washington consensus’, la dottrina economica americana imposta a livello planetario dalle politiche del Fondo Monetario Internazionale e dalle agenzie di rating e in Europa dal monetarismo della Merkel e della Banca centrale europea.
In realtà il Pd per essere competitivo deve tornare realmente a sinistra.
‘Non ho l’ansia di tornare a Palazzo Chigi. Futuro premier? Ce ne sono tanti, uno forse se ne è accorto è a Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni, e non è arrivato lì per caso’, dice Matteo Renzi a ‘diMartedì’ alla domanda di un nome di candidato premier a Palazzo Chigi alternativo al suo. Nel corso dell’intervista con Giovanni Floris, l’ex premier ha toccato diversi argomenti, partendo naturalmente dal grande assente della serata: Luigi Di Maio, che ha prima sfidato il segretario dem con un tweet, poi ha liquidato il duello in tv perché Renzi – a suo dire – non è più il candidato premier.
Mi dispiace che non ci sia Di Maio perché lo aveva chiesto lui. E’ come quel compagno di classe che ti dice ‘ti aspetto fuori’, poi suona la campanella, esci e non c’è nessuno. Non è un modo serio.
Parlando poi di alcune critiche ricevute per essersi speso troppo poco per il voto in Sicilia, replica: “Quando si tratta di elezioni amministrative, locali, regionali io cerco sempre di non mettere il mio volto al posto di quello del candidato”.
Per Renzi la qualifica che potrebbe portare il suo partito alla vittoria è quanto fatto nei precedenti anni di governo. Il segretario si riferisce in particolare ai posti di lavoro: ‘Ci sono 986mila posti di lavoro in più. Di questi il 71% a tempo indeterminato’.
Poi un pronostico: ‘Sulle coalizioni e sui collegi vedremo come andrà a finire, ma la mia opinione è che il Pd sarà il primo gruppo parlamentare e che il centrodestra si spaccherà il giorno dopo’.
Chi sarà il premier è un dibattito sterile perché il potenziale premier lo decide il Parlamento e il presidente della Repubblica che dà un incarico.
E sui malumori interni al Partito Democratico commenta lapidario: ‘D’Alema o Bersani non mi vogliono? Non mi hanno messo loro qui, ma due milioni di voti’.
Poi l’attacco a D’Alema: ‘Dice che io mi devo dare fuoco in piazza? Qual è la proposta di D’Alema? Siccome hanno scelto un altro partito, ognuno pensi al proprio partito. Lì dove io sono non mi ci ha messo lei Floris o Bersani o D’Alema né mi ci sono messo io da solo, ma i due milioni alle primarie’.
Cocis