Renzi, con l’1% vuole dettare regole, indicare traguardi, indicando la fine del governo Meloni

Matteo Renzi è un politico italiano. Ha iniziato la sua attività politica nel Partito Popolare Italiano, proseguendo poi nella Margherita e nel Partito Democratico; dal 2004 al 2009 è stato presidente della Provincia di Firenze e dal 2009 al 2014 sindaco di Firenze. Eletto segretario del PD il 15 dicembre 2013, il 17 febbraio 2014 ricevette l’incarico di formare un nuovo governo dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sostituendo il dimissionario Enrico Letta. Il 22 febbraio 2014 giurò come Presidente del Consiglio dei ministri, dando vita al governo Renzi. Il suo governo è stato il quarto più longevo nella storia della Repubblica Italiana, rimanendo in carica fino al dicembre 2016, quando rassegnò le dimissioni proprie e dell’esecutivo da lui presieduto a seguito dell’esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre, per poi dimettersi anche dalla segreteria del PD nel febbraio 2017.

Oggi Renzi ritiene di essere una stakeholder del centrosinistra, che può dettare le regole, indicare i traguardi e lanciare un preciso responso  contro il governo Meloni. E’ fortemente convito di essere ancora  il leader di quel Pd che raggiunse il 40% dieci anni fa.

Renzi,  fondatore di Italia Viva, da quando ha giocato la partita del cuore con Elly Schlein, cade nell’inganno di dettare le posizioni politiche, immemore di avere detto già tutto e il contrario di tutto  ma, con sicurezza e pomposità,  ritiene di essere il nuovo  Churchill  italiano.

Elettoralmente, Renzi  alle europee si è alleato con +Europa annunciando di voler andare a Strasburgo, ma ha raccolto un semplicissimo e deprimente 3,2%.  Tradotto algebricamente, Italia Viva oggi ha poco più dell’1% dei consensi. Laddove si presenta fuori dal campo largo riesce ad intercettare un voto moderato. Il modello francese che sogna è solo l’ennesimo tentativo tattico di tornare a governare senza avere voti, peso e forza. Potranno dargli 4 o 5 seggi al massimo. Compreso il suo, che poi è l’unica , vera cosa che gli interessa.

Non coglie di essere completamente antitetico alla sinistra, ai Cinquestelle, ad Avs e a Calenda. Matteo Renzi ha dimostrato una sola cosa: un anticomunismo viscerale, di gran lunga superiore a quello di Berlusconi. Nei tre anni circa di doppia guida del partito e del governo ha depotenziato tutto l’establishment esistente di sinistra, ha dapprima bloccato Bersani alla guida del governo, ha impallinato Romano Prodi al Quirinale, ha parlato di blairismo, jobs act, di riforma della giustizia, di lotta al massimalismo di sinistra. Un misto democristiano e socialista che aveva l’obiettivo dichiarato di portare il gruppo toscano al vertice di Largo Nazareno e di eliminare ogni residuo postcomunista.

Se c’è un nemico storico, inarrivabile, per i Cinquestelle, è il fondatore di Italia Viva. Un sentimento ampiamente ricambiato e condiviso con Avs. Bersaglio di campagne mediatiche giudiziarie dei pentastellati, Renzi li ha sempre apertamente definiti, “il male della politica”. Uno scontro durissimo che ha avuto l’acme ad inizio 2021, quando il toscano ha deciso di far fuori il Conte bis e di puntare sull’esecutivo Draghi. Arrivando a rivendicare di avere, “sostituito uno che si chiama Giuseppe Conte con uno che si chiama Mario Draghi”.

Differenze più o meno uguali con Bonelli e Fratoianni, visto che lui e Calenda abbandonarono ogni ipotesi di alleanza con il Pd alle politiche di due anni fa quando Enrico Letta annunciò l’accordo con Verdi e Si.

Renzi ha votato la riforma Nordio,  insieme a Calenda, ha detto di votare la separazione delle carriere e anche il premierato, rivendicandolo come suo principio. Non è andato a sfilare a Genova contro Giovanni Toti. In  pratica,  un corpo estraneo alla sinistra.

Ma senza voti e con il fallimento registrato alle europee l’ex Sindaco di Firenze ha bisogno di una nuova casa nella quale conquistare seggi e provviste per restare in piedi di fronte ad una coalizione, quella di centro destra, che fino a prova contraria, ha una leader forte, è unita e soprattutto legittimata dal voto.

Bisogna domandarsi quindi quali saranno le prossime azioni di Matteo Renzi: tornerà ad abbracciare anche Conte? abbandonerà la sua vena riformista sposando la posizione ideologica della CGIL e del Partito Democratico contro il suo Jobs Act? E cosa faranno i membri dell’attuale Pd che quel provvedimento lo hanno votato? Bonaccini, Padoan, Madia, Orlando, Franceschini anche loro sono pronti a rinnegare il provvedimento in nome dell’ideologia imposta dal sindacato?

Renzi è un uomo politico che ha segnato una fase importante della sinistra e dei democratici italiani. Ha creduto nella vitalità e nella capacità autocorrettiva del sistema in cui viviamo. Grande ottimismo e sottovalutazione delle zone d’ombra. Renzi non vuole  essere crocefisso al suo passato, ma non può pretendere di dare le carte. Più semplicemente può ipotizzare e desiderare  di riportare a vincere il centrosinistra, anche acclamato, ad un certo punto,  da tanti elettori e militanti ex comunisti.

Oggi, questo campo politico è abitato da conflitti, rancori, vendette personali, più che dai dissensi sulle cose da fare. Il problema, e la strategia, è quella  di unire le migliori “teste” del passato e del futuro per costruire un nuovo soggetto della democrazia italiana, lasciando e annullando il protagonismo dei singoli, disordinato e furbesco, che non serve a chi lo pratica e a chi lo vorrebbe associare in una lotta comune.

Il PD, per dimensione, ha la responsabilità maggiore nel coordinare un arco composito di forze. Ciò significa avere la capacità di essere unitario senza generalizzare sui temi trattati in un gruppo dirigente plurale, che raccolga le donne e gli uomini migliori del Pd. E tra questi, Matteo Renzi…

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