Di ritorno da San Francisco il segretario del Pd Matteo Renzi ha lanciato l’idea di un ‘lavoro di cittadinanza’, per fare fronte alla disoccupazione dilagante tra i giovani e gli over 50. L’ex premier nulla ha fatto in merito, tranne il Jobs Act, vera riscrittura regressiva dei diritti del lavoro, con la diffusione generalizzata dei voucher, il demansionamento e i licenziamenti più facili. Una proposta seria e rigorosa, basata sul rapporto tra occupazione e diritti di cittadinanza, in ossequio al principio di cui all’art. 4 della Costituzione, che sancisce un impegno a carico dello Stato di perseguire una politica di pieno impiego per combattere la disoccupazione non è mai stata fatta. Renzi ha scoperto prima l’America e poi la maniera per risolvere il problema dell’occupazione giovanile. Serve un lavoro di cittadinanza, dice al ‘Messaggero’. In Italia i lavori socialmente utili sono stati introdotti il 23 luglio del 1993 con il ‘Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno produttivo’ e avevano esattamente l’obiettivo indirettamente evocato dall’ex presidente del consiglio in contestazione con la proposta grillina del reddito di cittadinanza, cioè dare una mano temporaneamente a coloro che venivano espulsi dal mercato del lavoro in ‘Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria’, ai disoccupati di lunga data e a coloro che il lavoro non lo avevano mai trovato. Il nome proposto è nuovo, il contenuto è vecchio. Va bene studiare l’America, ma forse converrebbe studiare anche un po’ l’Italia.
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