La crociata in corso contro il pubblico impiego non convince perché nella pubblica amministrazione, sia centrale che periferica, ci è sempre capitato di incontrare impiegati e dirigenti di tutto rispetto accanto ai fannulloni. Sarà che la percentuale di questi ultimi è sempre stata di molto inferiore rispetto ai primi. Sarà che la burocrazia è composta soprattutto di personale onesto, preparato e all’altezza, e se in Italia siamo arrivati ad un eccesso di burocrazia, alla cosiddetta ‘burocratizzazione’ della sfera pubblica, è perché abbiamo abusato nella quantità delle leggi a danno della loro qualità, attribuendo spesso dignità di norma a situazioni di mero rango regolamentare. Per non parlare dell’uso di un linguaggio giuridico che, via via, è diventato sempre più contorto, incomprensibile e contraddittorio. Un lessico che lascia spazio ad interpretazioni capziose e spesso prive di logica. Di tutto questo, del dannoso ingolfamento legislativo non si parla, e nessuno si cura. Giletti, dal comodo studio di Rai Uno aggredisce Barbara Casagrande, segretario generale di un sindacato della dirigenza pubblica, mentre la stessa tenta di spiegare come la nuova norma sui licenziamenti non sia nient’altro che una misura demagogica e del tutto inutile. Gli scansafatiche si nascondono ovunque e, come tali, vanno snidati, perseguiti, condannati e licenziati. Le norme per farlo, in verità, già ci sono e le introdusse Brunetta durante il governo Berlusconi. In Inghilterra quando si parla di pubblico impiego si evoca la figura del ‘Civil Servant’, il servitore dello Stato. In Francia è famosa ‘L’Ecole Nationale d’Administration’ (Ena), la cui missione principale è fornire alle istituzioni una burocrazia di alto livello. Negli Stati Uniti esiste il ‘Merit Systems Protection Board’, ossia un Comitato che si occupa dei dipendenti pubblici, dal reclutamento alla formazione, alla retribuzione e che li difende dagli arbitri, dalle costrizioni e dalle coercizioni politiche. Da noi, invece, si va avanti a colpa di demagogia e una riforma vera e seria è ancora al di là da venire. Eppure un Paese che voglia davvero progredire dovrebbe incentivare e organizzare al meglio la sua pubblica amministrazione. Matteo Renzi promette un cambiamento radicale della Pubblica amministrazione con una riforma che non sarà contro lavoratrici e lavoratori ma discussa al loro fianco, ma senza tavoli di concertazione con i sindacati. Con l’intenzione di non dar luogo a nessun esubero, di assumere 15 mila giovani entro il 2018, licenziare i dirigenti senza incarico e ‘stangare’ i fannulloni. Il premier ha fissato le linee guida del provvedimento che conta di portare in Consiglio dei ministri il 13 giugno prossimo, come disegno di legge, anzichè come decreto. Nel frattempo, visto che non abbiamo paura del confronto, ha spiegato, ci sarà un periodo di consultazione di 40 giorni durante il quale si discuterà dei contenuti con dipendenti e sindacati. La riforma, ha detto al fianco del ministro della PA, Marianna Madia, ci sarà ed ha inviato una mail a tutti i lavoratori pubblici esortandoli a proporre idee (rivoluzione governo.it). La riforma si sviluppa su 3 assi e 44 punti: ‘Capitale umano, innovazione e tagli alle strutture non necessarie’, Oggi, ha detto Renzi, la pubblica amministrazione parla 13 linguaggi diversi, noi vogliamo che parli un’unica lingua e che lavori su tutto.
Cocis