Oggi Matteo Renzi,  prima in un’intervista ad un quotidiano poi dal salotto di ‘Porta a Porta’, scioglierà ufficialmente la riserva. Ormai la scissione è cosa fatta. L’ex presidente del Consiglio spiegherà le ragioni politiche per le quali ha deciso di abbandonare il Pd, sosterrà che il Partito democratico si è spostato troppo a sinistra, che ha rinnegato alcune riforme importanti come quella costituzionale e il Jobs Act, rimarcherà la necessità di presidiare il campo dei moderati, ovvero un centro che possa poi portare avanti battaglie in modo autonomo. Renzi rivendicherà anche di aver fatto il primo passo per la costituzione di un governo giallo-rosso. Un conto però e un’alleanza per salvare i conti del Paese, un altro è sposare la tesi secondo cui è ora necessario un connubio tra Pd e M5stelle sul territorio.

L’ex presidente del Consiglio è contrario ad un matrimonio tra dem e pentastellati ma ribadirà di voler essere fedele al governo e confermerà la fiducia nel premier Conte. Nella sede del governo si attende la mossa di Renzi e soprattutto di capire se la ‘separazione consensuale’ sarà destabilizzante per la maggioranza e per l’esecutivo. Il timore che gruppi autonomi possano ledere la navigazione del governo c’è, ma Conte punta prima a stringere sulle partite portate avanti in questi giorni, a partire dal tema dell’immigrazione – domani è previsto il bilaterale con Macron – e poi con la legge di bilancio. Renzi avrebbe chiamato Conte per rassicurarlo. Nessuno – questo il suo ragionamento – vuole mettere a rischio il governo. Ad attendere l’operazione del senatore di Firenze sono anche Zingaretti e Di Maio.

Per la maggioranza dem la mossa di Renzi è inspiegabile, non ha un motivo politico. In questi giorni ci sono stati diversi appelli da parte dei big dem – Franceschini in primis – affinché Renzi tornasse sui suoi passi ed è forte anche il pressing da parte di Base riformista, con Guerini e Lotti impegnati in un’opera di convincimento sui deputati e i senatori di stretta osservanza renziana. L’operazione di Renzi partirà prima alla Camera e poi al Senato. Alla Camera il capogruppo dovrebbe essere Marattin, mentre al Senato si fa il nome di Faraone. I renziani sono impegnati in queste ore nella costituzione dello Statuto del movimento che dovrebbe chiamarsi ‘Italia del sì’. Per ora non è previsto l’approdo di esponenti di Forza Italia ma fonti parlamentari dem rivelano che 7-8 senatori sarebbero pronti più avanti ad entrare nel gruppo. “Meglio fare il gruppo subito e mettere le cose in chiaro all’inizio”, spiegano i renziani che domani dovrebbero uscire dal gruppo Pd di Montecitorio. Dopo qualche giorno toccherà ai senatori.

Ettore Rosato, che ha in mano il pallottoliere renziano, conta di arrivare entro domani al numero di dieci senatori che dovrebbe servire intanto a creare una ‘componente’ del Misto, cui potrebbe aggiungersi Pier Ferdinando Casini (adesso nel gruppo delle Autonomie). Significativa la presenza di  Riccardo Nencini che fa sapere: ‘Deciderò con il mio partito, il Psi’. In base al regolamento di Palazzo Madama, è proprio Nencini, detentore di un simbolo che ha corso alle Politiche, a poter garantire la creazione di un gruppo parlamentare a sé stante.

‘Non capiamo perché di tanto in tanto appaia il nome del senatore Riccardo Nencini collegato alla eventuale scissione nel Pd, partito al quale non è iscritto. Riccardo Nencini è e resta socialista e ogni decisione futura verrà presa di concerto con il partito’,  scrive in una nota l’ufficio stampa del Psi rispondendo alle indiscrezioni stampa emerse negli ultimi giorni circa l’intenzione dell’ex premier Matteo Renzi  di formare gruppi autonomi alla Camera e al Senato coinvolgendo il presidente del consiglio nazionale del Partito Socialista Italiano.