Introduzione: tra obsolescenza e degrado
I recenti crolli di edifici vecchi e fatiscenti, che fortunosamente non sono culminati in tragedie e non
hanno fatto registrare vittime, ripropongono l’urgenza di intervenire sul patrimonio edilizio italiano,
spesso vecchio e fatiscente.
Molte abitazioni ed edifici sono stati costruiti diversi decenni fa e non sono stati adeguatamente
mantenuti o ristrutturati nel corso degli anni. Ciò ha portato a problemi strutturali, infiltrazioni d’acqua,
danni alle facciate e agli interni, e persino – come insegna la cronaca non isolata delle scorse settimane –
a crolli. Questa situazione rappresenta una minaccia per la sicurezza degli occupanti e mette anche a
rischio un prezioso patrimonio storico, architettonico e culturale del paese.
Quasi la metà degli immobili siti sul territorio nazionale andrebbero ristrutturati e riqualificati, sia dal
punto strutturale che energetico. Dei 12,2 milioni di edifici residenziali censiti dall’Istat nel nostro paese,
il 60% (7,2 milioni) ha oltre i 40 anni di vita e risale al periodo anteriore il 1977, anno in cui per la prima
volta sono state introdotte norme antisismiche e sull’efficienza energetica in edilizia. 5,2 milioni (42,5%)
hanno più di 50 anni.
Le abitazioni realizzate prima del 1970 e quindi strutturalmente ed energeticamente inadeguate rispetto
alle normative emanate successivamente, sono oltre 18 milioni.
Le regioni più problematiche in questo contesto sono quelle del Sud Italia con la Basilicata in testa che
vanta il patrimonio immobiliare più datato, seguita da Sicilia, Campania e Abruzzo.
Al Nord invece primeggiano Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, dove il 31% delle abitazioni
ha oltre i 40 anni.
La scarsa incisività (o, con particolare riferimento al Superbonus 110%, la breve durata) di politiche di
sostegno al contenimento del consumo energetico, alla ristrutturazione e alla messa in sicurezza, farà sì
che il patrimonio immobiliare italiano scenda vertiginosamente di prezzo nei prossimi anni e continuerà
a disperdere un’enorme quantità di calore in atmosfera. Con le conseguenze facilmente immaginabili sulla bolletta energetica nazionale, ancora fortemente dipendente dagli approvvigionamenti esteri.
Ristrutturare e riqualificare gli edifici anche al fine di contenere il rischio sismico, potrebbe voler dire,
oltre che preservare l’incredibile e ricco patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale del paese,
anche risparmiare su consumi energetici, ma soprattutto sul consumo di suolo che nel nostro paese è stato spregiudicato (come dimostrano ulteriori e gravi fatti di cronaca: episodi alluvionali catastrofici,
smottamenti, frane).
Questa è l’istantanea della situazione attuale, da cui emergono due questioni direttamente collegate alla
vetustà del patrimonio immobiliare nazionale: quella dell’efficienza energetica degli edifici e quella della
sicurezza statica legata alla sismicità del territorio nazionale.
Per quanto riguarda i rischi naturali la correlazione tra età degli immobili e minore sicurezza
statica emerge dai dati. Secondo la classificazione sismica dei comuni italiani, circa il 40% del territorio
nazionale (130mila chilometri quadrati) e il 35% dei comuni italiani (2.765) si trovano in area a elevato
rischio sismico (zona 1-2). In queste aree risiedono 22 milioni di persone, 9 milioni di famiglie e si trovano
oltre 6 milioni di edifici di cui oltre 1 milione a uso produttivo con 5 milioni di addetti. Altri 19 milioni
di cittadini risiedono, invece, nei comuni classificati in zona 3; zona non rossa, ma che non può certo
considerarsi sicura.
A questi si possono poi aggiungere 1,3 milioni di edifici a rischio alluvione e oltre mezzo milione
di edifici sono a rischio frana.
Più del 50% del totale dello stock abitativo è stato costruito prima del 1974 e quindi in completa
assenza di una qualsivoglia normativa antisismica.
Servirebbero almeno 300 miliardi per mettere in sicurezza il patrimonio residenziale italiano;
per la Protezione Civile ne potrebbero addirittura bastare poco più di 50. Sembrano cifre enormi, in realtà
irrisorie se si considera (volendo trascurare il dolorosissimo tributo in termini di vite umane) che soltanto
nell’ultimo decennio fino al 2020 (stime del CNR), l’Italia ha pagato, per i danni da catastrofi naturati,
quasi 310 miliardi di euro. E dal computo sono esclusi i danni per l’ultima alluvione in Emilia Romagna,
e i terremoti nelle Marche (2022).
Inadeguata Protezione e Tutela del Patrimonio
Nonostante l’importanza culturale e storica di molti edifici italiani, la protezione e la tutela del
patrimonio spesso non sono sufficienti. La burocrazia, le mancanze nei finanziamenti e le lacune nella
sorveglianza possono portare al deterioramento di siti storici e architettonici di inestimabile valore. È
essenziale aumentare gli sforzi per preservare e restaurare adeguatamente questi tesori culturali,
coinvolgendo sia il settore pubblico che privato.
L’urbanizzazione incontrollata e una pianificazione del territorio insufficiente sono altre problematiche
che impattano il patrimonio edilizio in Italia. L’espansione delle aree urbane senza una visione coerente
può portare a un aumento dell’abusivismo edilizio, alla perdita di spazi verdi e agricoli, e alla distruzione
di siti archeologici. Una pianificazione più oculata e una gestione sostenibile del territorio sono
fondamentali per garantire uno sviluppo urbano equilibrato e rispettoso dell’ambiente e del patrimonio
culturale.
Investire sull’innovazione per un rilancio urbanistico e sociale delle città
Investire in sicurezza, staticità e innovazione del patrimonio immobiliare, vuol dire anche investire sul
sociale.
In Italia sono quasi 1,1 milioni gli edifici residenziali sui quali è necessario effettuare interventi di
innovazione dal punto di vista edilizio, urbanistico e sociale. Questa attività avrebbe un impatto
economico sul patrimonio edilizio di 22,6 miliardi di euro all’anno e potenziali ricadute di natura sociale
per ulteriori 17,1 miliardi di euro.
È quanto emerge dall’Osservatorio sull’innovazione presentato a Milano da Scenari Immobiliari e Dils
nel corso dell’Innovation Forum 2023.
Nelle principali città italiane – spiega l’Osservatorio – sono presenti 1,1 milioni di edifici residenziali
costruiti tra il 1946 e il 1989 (pari al 13,5% dei quasi 8 milioni complessivi appartenenti allo stesso periodo
storico), con 6,3 milioni di unità abitative (28,9% dei 21,7 milioni totali), sui quali è prioritario effettuare
interventi di innovazione dal punto di vista edilizio, urbanistico e sociale.
Attenendosi all’obiettivo comunitario di “ricostruire” annualmente il 2% degli edifici esistenti nelle aree
urbane, sarebbe necessario intervenire potenzialmente su circa 36.300 edifici all’anno (pari al 2% degli
1,8 milioni di edifici residenziali esistenti nelle principali città italiane) in un arco temporale di 30 anni,
solo per quanto riguarda il patrimonio realizzato tra il ‘46 e la fine degli anni ‘80.
La quantificazione economica degli investimenti di natura immobiliare necessari alla potenziale
attivazione dell’intero processo di “ricostruzione” annuale degli edifici residenziali nelle aree urbane della
penisola è stimabile partendo da una media degli attuali costi unitari relativi a interventi di nuova
costruzione e di ristrutturazione edilizia, compresi tra 750 euro/mq e 1.600 euro/mq (applicata alla
superficie media delle unità abitative esistenti nelle principali città italiane di circa 100 mq).
Di conseguenza, è possibile stimare il potenziale impatto economico della piena attuazione degli
obiettivi comunitari in termini di innovazione del patrimonio edilizio abitativo in 22,6 miliardi di euro
all’anno, i quali sono a loro volta in grado di generare ricadute di natura sociale potenzialmente
monetizzabili in ulteriori 17,1 miliardi di euro, in relazione alle diverse tipologie di intervento, come
emerso dall’analisi dei casi studi e dal successivo sviluppo della matrice sociale degli investimenti
contenuti nell’Osservatorio di Scenari Immobiliari e DILS.
Il settore immobiliare raggiunge coefficienti moltiplicativi di attivazione della filiera tra i più elevati,
mediamente pari a 3,4 euro per 1 euro investito di cui le ricadute sociali rappresentano una quota
variabile, in relazione alle peculiarità del progetto (dimensioni, funzioni, caratteristiche architettoniche,
sostenibilità, ecc.) e del contesto territoriale, economico, immobiliare e sociale di riferimento, stimata tra
il 40% e il 60% circa, “monetizzabili mediamente in 1,75 euro ogni singolo euro investito.
Il nord Italia, e in particolare la Città di Milano, negli ultimi anni si è trasformata in un laboratorio
fertile di progetti e sviluppi di rigenerazione urbana. Particolare attenzione hanno destato le
numerose aree industriali dismesse sul territorio, veri vuoti urbani ed elementi di cesura tra i quartieri
delle città, oltre che zone ad elevato rischio per la salute di residenti e utenti e dell’ecosistema naturale.
Esiste, infatti, un ulteriore impatto, non “monetizzabile”, costituito, ad esempio, da progetti
educativi per giovani e bambini, programmi per la formazione professionale e l’inserimento nel
mondo del lavoro di classi disagiate, progetti di inclusione sociale, eventi culturali e sportivi, tavole
rotonde partecipate, workshop, concorsi. A ciò si aggiunge un elevato numero di indicatori di valore il
cui impatto sociale è dato principalmente dalla loro presenza fisica, come edifici eco sostenibili, piste
ciclabili, percorsi pedonali, accessibilità pubblica, piani terra fruibili dai city users, parchi e aree attrezzate,
dotazione di servizi, impiego di tecnologie smart, nuovi modelli abitativi ecc. Si tratta dunque di progetti
molto innovativi, dove l’innovazione ha anche un carattere intellettuale e vuol dire pensare alla comunità
e alle generazioni future. Se si crea un territorio “ricco”, attraente, sostenibile, questo lo è ancor di più se
la sua ricchezza si espande a livello sociale.
“Questi dati evidenziano in maniera evidente – commenta il presidente di Federcepicostruzioni,
Antonio Lombardi – come gli interventi di riqualificazione sugli edifici italiani, non riguardano
soltanto sicurezza, risparmio energetico e staticità antisismica: tutti aspetti comunque di enorme
rilevanza. Ma toccano anche la qualità della vita e costituiscono una nuova e innovativa trasformazione
e modifica dell’esistente. Ogni operazione edilizia, del resto, come dimostrato anche dal Superbonus
110%, qualunque siano dimensioni e localizzazione, riporta effetti più o meno incisivi sul territorio di
riferimento, e quindi sul relativo tessuto economico e sociale”.
Soluzioni e Prospettive
In Italia ci sono circa 12 milioni di edifici, di cui moltissimi, soprattutto quelli all’interno degli
agglomerati urbani, sono stati costruiti nel periodo del dopoguerra, durante la ricostruzione postbellica del nostro paese. Il periodo dal 1919 al 1945 oggi rappresenta circa un quarto di tutti gli edifici
abitativi italiani, con un buon numero che sono stati costruiti prima del 1918.
Nonostante le sfide, ci sono anche opportunità per migliorare lo stato del patrimonio edilizio italiano.
Ecco alcune possibili soluzioni:
Incentivi Fiscali e Finanziamenti: Il governo può offrire incentivi fiscali e finanziamenti agevolati
per promuovere la ristrutturazione e l’efficientamento energetico degli edifici, incoraggiando così i
proprietari a investire nella manutenzione delle loro proprietà. Occorre riproporre il Superbonus
prevedendo una normazione stabile e costante ed evitando continui rimaneggiamenti, integrazioni e
modifiche della normativa.
Sviluppo di Competenze Tecniche: Promuovere la formazione di professionisti qualificati nel settore
dell’edilizia storica e del restauro è essenziale per garantire il corretto trattamento dei monumenti e degli
edifici storici.
Collaborazione Pubblico-Privato: Favorire una collaborazione più stretta tra il settore pubblico e
privato può portare a investimenti più significativi nel restauro e nella conservazione del patrimonio.
Sensibilizzazione e Partecipazione Pubblica: Educare la popolazione sull’importanza della
conservazione del patrimonio edilizio e coinvolgerla nel processo decisionale può creare un senso di
responsabilità condivisa per la tutela del patrimonio.
Riproporre il fascicolo di fabbricato: occorrono efficaci e costanti sistemi di monitoraggio e
manutenzione degli immobili, ed una riproposizione dell’idea di un “fascicolo di fabbricato” con controlli
e verifiche standardizzate su tutto il territorio nazionale, in funzione all’età di costruzione, alla tecnica
costruttiva e ai materiali impiegati. L’adozione del fascicolo può essere incentivata con sistemi di
premialità sulle imposte locali e di registro sulle transazioni immobiliari e sulle locazioni, e nell’accesso
ad incentivi e bonus fiscali agevolati per tutti i comproprietari dell’immobile. È possibile inoltre
immaginare ulteriori forme di incentivazione quali polizze assicurative agevolate contro disastri naturali
e accidentali, attraverso specifiche convenzioni con le compagnie di assicurazione; mutui e finanziamenti
agevolati per interventi di manutenzione e ristrutturazione ordinaria e straordinaria all’immobile ma anche
nei singoli appartamenti, in convenzione con primari istituti di credito.
Conclusioni
La condizione del patrimonio edilizio in Italia è una questione complessa e multifattoriale. Per
preservare la sicurezza, la staticità ma anche il valore storico e culturale delle costruzioni italiane, è
necessario affrontare le sfide legate all’obsolescenza, all’efficienza energetica, alla tutela, e alla
pianificazione del territorio. Solo con un approccio integrato e con sforzi congiunti tra il settore pubblico
e privato si potranno garantire la salvaguardia e la valorizzazione di uno dei patrimoni più preziosi
dell’Italia.
Occorre pertanto definire chiaramente tempi e modalità in sede Ue poi in Italia andando di pari passo
con la promozione di incentivi certi e duraturi. Serve pertanto procedere con una strategia chiara e non
con proroghe all’ultimo minuto o continui cambiamenti regolatori tecnici e fiscali ad ogni legge di
bilancio. Solo così sarà possibile affrontare questa sfida coinvolgendo i cittadini e migliorando il nostro
Paese.
“Occorre utilizzare i fondi del PNRR – conclude il presidente Antonio Lombardi – anche per
riqualificare il patrimonio edilizio dal punto di vista statico ed energetico; gli ultimi dati ENEA
dimostrano che è cominciata l’inversione di rotta e si iniziano ad avvertire i veri effetti del decreto
cessioni del gennaio 2023, che sostanzialmente ha eliminato il sistema dello sconto in fattura. Abbiamo
avuto un calo dei cantieri aperti ad appena 5300, dai 22.000 del mese di luglio 2022. Un crollo di
domanda che si somma ai dati di Bankitalia che certificano una crescita zero, venendo meno gli effetti
positivi del Superbonus su tutta l’economia, non solo sul comparto delle costruzioni. Il Superbonus è una
misura positiva da tutti i punti di vista, anche sociali, che va riattivata: genera valore aggiunto e incentiva
i consumi oltre ad efficientare e migliorare staticamente il nostro patrimonio immobiliare. Seguiremo
quindi con grande interesse le proposte in esame alla Commissione Finanze”.