Si rassegnino Pd, sinistra radicale, terzopolisti e oppositori vari. Anche i loro elettori apprezzano la linea che sta seguendo il governo su svariati temi. Arnaldo Ferrari Nasi, sociologo e analista, ha dato conto di un sondaggio sulle pagine di Libero. L’analista ha sondato i vari elettorati su diversi indicatori, non solo quelli economici, ma soprattutto quelli relativi alla politica estera. Il centrodestra nei sondaggi viaggia ormai da tempo con Fratelli d’Italia solido primo partito sul 29-30% per tutti gli istituti. Per cui l’analisi vieno ora calibrata sul giudizio che gli elttori anche degli altri partiti riservano all’esecutivo. Tra i vari dossier c’è quello di stretta attualità: il rapporto con gli Usa.
Ebbene, “per il 54% degli italiani il governo sta lavorando bene; mentre solo il 27% pensa il contrario. La media tra gli elettori dei tre partiti di centrodestra è 80%; nel Terzo Polo il 73%”. E poi, a sorpresa, “addirittura il 64% tra chi vota Alleanza Sinistra-Verdi. Anche tra gli elettori del M5S il 47% apprezza la linea del governo. Di seguito, la domanda specifica che rivolge il sondaggio è su quale versante sarebbe per loro preferibile si orientasse il governo Meloni: “Sarebbe preferibile che l’Italia si avvicinasse sempre di più agli Usa anche a costo di prendere una posizione netta contro Cina e/o Russia; oppure sarebbe meglio avvicinarsi a Cina e/o Russia, rischiando d
Ebbene – scrive Arnaldo Ferrari Nasi- : il 60% dice Stati Uniti, il 28% Cina/Russia. E’ l’analisi dei vari elettorati a riervare sorprese. “Gli elettori di Pd e Terzo Polo sono i più filoamericani, con il 73% di entrambi i partiti che dice States”. Più curioso di tutti è il dato di SI e Verdi, “che in maggioranza (54%) dicono Usa. Forza Italia è divisa in due: 47% contro 45%. I meno vicini agli Usa e più vicini a Russia e Cina, sono Movimento 5 Stelle (36% vs 45%) e Lega (39% vs 48%). In ultimo Fdi. Tra gli elettori del partito di Giorgia Meloni il 53% si dice più vicino agli Usa”. Insomma, i leader dei partiti di riferimento farebbero bene a fare un bagno di realtà, anziché inseguire polemiche sterili. Le partite ini gioco sullo scacchiere internazionale sono di vasta portata. E gli elettori spesso sono più avanti dei singoli partiti.
Ancora in cattedra, sui giornali, Toni Negri, il “cattivo maestro” della sinistra italiana degli Anni di Piombo, una quindicina d’anni in carcere, qualcuno da latitante a Parigi, proclami rivoluzionari, lezioni di odio in cattedra all’università, responsabilità morali in tanti omicidi anche se lui oggi dice di “non avere ucciso nessuno”. E’ lui il protagonista di una doppia paginata di intervista su “Repubblica“, a pochi giorni dal suo novantesimo compleanno, da celebrare con una bella chiacchierata sul conflitto sociale, sulla democrazia, perfino sul premier italiano eletto dal nemico, la destra italiana, quella Giorgia Meloni su cui Toni Negri si erge a giudice, da chissà quale pulpito. “Con lei, in Italia, c’è una svolta autoritaria”.
Politologo. attivista. cofondatore e ideologo di Potere operaio (1967-1973) e di Autonomia operaia (1973-1979) ex deputato radicale, veniva definito da Giorgio Bocca il “professore terrorista”, ha rivendicato in libri e interviste la sua miitanza armata: “Certamente c’è stato il terrorismo di Stato, ma abbiamo anche noi risposto con violenza. Abbiamo sbagliato a farlo? Non credo. La violenza operaia e militante ha costituito un momento di estrema ricchezza”. Nel 1979, già affermato docente universitario di filosofia, venne indagato, arrestato e – dopo quattro anni e mezzo di carcerazione preventiva – processato per «complicità politica e morale» con il gruppo terroristico delle Brigate Rosse , quindi condannato in via definitiva a 12 anni di carcere, ai quali ne vennero aggiunti successivamente altri negli anni novanta per i reati di associazione sovversiva e concorso morale in rapina scontandone in totale dieci, di cui gli ultimi quattro in semilibertà.
Il mio contributo all’evoluzione della politica italiana? «L’analisi del movimento operaio, ostruzione di un nuovo soggetto che impronterà gli anni Sessanta-Settanta. Dai Quaderni rossi all’attività politica, fino al 7 aprile. Vent’anni per modellare una prospettiva militante”, racconta con orgoglio a “Repubblica” Toni Negri, che parla anche di Berlusconi e Berlinguer, come fosse un politologo della Bocconi.
“È fallita la parte più decente della borghesia, che si è lasciata ammaliare e fagocitare dal Cavaliere, Caimano che dir si voglia. Il Pci non ha capito la trasformazione del capitalismo. Si è adeguato a un modello di sviluppo industriale fordista, mai avventurandosi nel post-fordismo e mai andando al di là del keynesismo». Poi Negri loda Aldo Moro, che aveva capito che il Pci era in crisi, “giustamente in crisi, una condizione che andava trasformata in fatto politico. Purtroppo sarà il Caf, Andreotti& C., a realizzare l’impresa in termini reazionari”, dice. Toni Negri, che difende ancora oggi il comunismo, vede oggi l’avanzata inarrestabile della destra, anche in Francia, dove vive: “Se si votasse oggi, Marine Le Pen andrebbe al 70 per cento” mentre in Italia il suo giudizio è lapidario: “Meloni? Il post-fascismo non vuol dire niente. Si tratta di una svolta autoritaria, molto liberale, incastrata nella continuità delle scelte reazionarie del ceto politico italiano…”.