Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Roberto Staglianò, una recensione su ‘Riccardo II’ in scena al Teatro Nazionale di Roma fino ad oggi, 17 dicembre.
C’è una lunga fila di persone in coda al botteghino per la prima, l’atteso debutto di Richard II al Teatro Nazionale di Roma. Qualcuno protesta, qualcuno sopporta, altri attendono di poter prendere posto. Frammenti di conversazione trasportati per mezzo dell’aria di un pubblico eterogeneo, ma consapevole di partecipare alla rappresentazione della vita, della storia e del dramma di Riccardo II d’Inghilterra, ultimo sovrano per diritto divino della stirpe dei Plantageneti.
Riccardo II, insieme al Riccardo III, ai quattro ‘Enrico’ e al ‘Re Giovanni’ fa parte della raccolta di storie inglesi dedicate ai re ed è l’opera di Shakespeare meno rappresentata, dove la parola e il linguaggio è formale, aulico, impegnativo.
La misteriosa morte di Thomas Woodstock, di cui si accusano vicendevolmente due nobili, Bolingbroke e Mowbray segna l’inizio del dramma in cinque atti. Riccardo II, nelle vesti di giudice, interrompe il loro duello e condanna entrambi decretando l’esilio. Perenne sarà quello di Mowbray, dieci anni durerà la condanna di Bolingbroke, ma la clemenza del re, mossa dal pianto amaro dello zio del sovrano, ridurrà a sei gli inverni trascorsi lontano dalla patria del suo giovane cugino. Ben presto, però, la condotta prepotente, la corruzione, gli abusi di potere e gli atti politici di Riccardo II, il quale nel frattempo si è messo contro tutte le forze sociali, richiameranno Bolingbroke alla rivolta. Con l’appoggio del popolo egli tornerà dal suo esilio per rovesciare il re, il quale abdicherà in suo favore e finirà con l’essere assassinato nella Torre di Londra, dove si trovava imprigionato (Foto di Paolo Porto). La regia è affidata a Peter Stein, uno maestro del teatro tedesco ed europeo tra i più importanti. Berlinese, rivelatosi al Münchner Kammerspiele è tra i fondatori, nel 1970 della Schaubühne di Berlino, a lungo diretta prima di occuparsi, negli anni Novanta, alla sezione teatrale del Festival di Salisburgo. Molti sono gli spettacoli indimenticabili che ha creato per i palcoscenici internazionali di prosa e lirica, anche in Italia.
Stein è un regista che ha la capacità di lettura e di interpretazione del testo molto profonda. E’ evidente come il clima instaurato con gli attori, una compagnia di quindici eccezionali interpreti, sia notevolmente positivo perché ognuno ha dato il meglio e il massimo della propria creatività in scena. L’impresa non era comprensibilmente facile, in primo luogo perché questo testo, incentrato sulla deposizione di un sovrano, è stato presumibilmente scritto nel 1595 e trovare un legame con un passato lontanissimo è una sfida ardua.
Shakespeare, inoltre, ha costruito questa tragedia sull’arte della retorica. Quasi tutte le scene di ‘Richard II’ si svolgono in luoghi pubblici, nella sala del trono; dall’alto del pulpito verso il basso del selciato si parla come se ci si trovasse perennemente in un tribunale e ogni parola è il risultato di una intenzione e di un calcolo specifico. Il teatro è il luogo che permette di rinforzare un’identità culturale mediante la lingua, la solennità della sua sintassi, le idee e gli atti della recitazione. Il pubblico assiste così ad un lavoro simile ad partitura musicale, eseguita coralmente e magistralmente al fine di rendere lo stile retorico di Riccardo II comprensibilmente universale, ricco e stimolante.
Peter Stein ha dichiarato che desiderava da molto tempo portare in scena Riccardo II e la scelta di Maddalena Crippa, nel ruolo principale, è perfetta. La Crippa (Foto di Paolo Porto) è un’attrice forte nell’interpretare il ruolo di un sovrano fluido, in cui convergono l’umanità del terreno e l’ultimo anelito di potere divino, la consonanza e la dissonanza, l’autorità e l’autorevolezza, il maschile e il femminile. Chi ha assistito alla rappresentazione teatrale può scorgere nei tratti del personaggio interpretato dalla bravissima attrice, una sorta di Andy Warhol senza età e senza genere, con la sua influente Factory. Ci sono tratti pansessuali in Riccardo II, basti pensare che durante tutto il primo atto è circondato dalla sua corte di tre giovani favoriti: Bushy (Giovanni Longhin), Bagot (Domenico Macrì) e Green (Michele Maccaroni) (Foto di Paolo Porto)I suoi consiglieri sono attraenti come artisti glamorous, vestiti di bianco come il re, il quale dispensa loro carezze ambigue dal trono su cui è seduto, ricevendo languidi baciamano. Dopo aver avuto per tutta la storia una caratteristica liquida e mutevole, alla fine, prima di essere ucciso, riprende potenza e una straordinaria forza virile, facendo fuori, quasi senza armi, alcuni suoi nemici incappucciati e armati. ‘È aspra la dolce musica quando il tempo è rotto e non si osserva la misura’.
Maddalena Crippa realizza e supera una prova vibrante testimoniando di essere un’interprete duttile, colta e travolgente nella sua sensibilità artistica.
La scena del duello tra il tumultuoso Bolingbroke, futuro re Enrico IV, e Mowbray, interpretati da Alessandro Averone e Graziano Piazza è una tra le più belle Averone è preciso e perfetto nell’interpretare il suo personaggio machiavellico e perentorio, Paolo Graziosi regala una splendida interpretazione dello zio del re che denuncia corruzione, decadenza e sciagura, dal suo letto di morte, tutti gli attori della compagnia sono talenti puri.
Un altro aspetto fondamentale presente nel Riccardo II è il tema politico che caratterizza l’intera opera. La deposizione del re, predestinato per volontà divina fin dalla sua nascita, è un fatto collocabile in un preciso periodo e contesto storico. Le cause e le conseguenze che si determinano, la legittimità e l’illegittimità del potere, le ambizioni del singolo e quelle delle élite, l’esercizio della volontà popolare, la moralità e l’immoralità sono elementi trasversali nel corso dei secoli e di forte attualità. Nella visione di Stein e nel testo di Shakespeare, l’uomo di potere ha due corpi in conflitto, quello privato sottoposto a umana debolezza e quello pubblico che rappresenta l’istituzione stessa del potere: ‘Io ti saluto, mia Terra, piangendo e sorridendo, e ti rendo favori’.
Una sottotraccia interessante è quella dell’esilio, inteso come momento di esclusione che può realizzarsi all’esterno, da uno spazio all’altro, o all’interno di uno stesso luogo. Non c’è molta differenza tra l’allontanamento dalla patria subito da Henry Bolingbroke e la destituzione di Richard II che viene relegato nella Torre di Londra, è solo un ordine di misura concettuale, un orientamento di ampiezza del confine. Singolare come chi ha deciso sulla libertà dell’altro alla fine subirà una sorte analoga. Nonostante la restituzione dello scettro e della corona prima e la reclusione, dopo, nel perimetro quadrato di un telo bianco, rappresentazione simbolica di una cella, Riccardo II conserverà il crisma regale. Il vero re rimarrà sempre lui e solo la morte potrà spezzare quel sigillo, non la prigionia. È il momento più alto e struggente dell’interpretazione magistrale di Maddalena Crippa: ‘Sali, sali anima mia! Il tuo seggio è lassù, là… la mia greve carne morente sprofonda’.
Roberto Staglianò