Il Tar (Tribunale amministrativo regionale) per la Liguria ha dichiarato illegittimo l’affidamento diretto alla Rai, da parte del Comune di Sanremo, dell’organizzazione del Festival della canzone italiana (anni 2024/2025).
I giudici, tuttavia, hanno fatto salvo lo svolgimento dell’edizione del 2025, che, pertanto, avrà luogo come previsto. Per l’avvenire, invece, il Comune di Sanremo dovrà procedere mediante pubblica gara, aperta agli operatori del settore interessati.
La decisione è contenuta in 58 pagine di una sentenza giuridicamente piuttosto complessa che riguarda la definizione legale di marchio (quello del Festival della canzone italiana) e che lo differenzia rispetto al format.
Il ricorso nasce dal presidente dei discografici italiani che vorrebbe togliere il Festival dei fiori. Sergio Cerruti è il presidente di Afi (Associazione Fonografici Italiani) e managing director dell’etichetta discografica JE che è la società che ha presentato ricorso contro Comune di Sanremo e Rai riguardo alla concessione dell’uso in esclusiva del marchio “Festival della Canzone Italiana”.
Quanto all’edizione che si svolgerà a febbraio scrivono i giudici: “Risulterebbe evidentemente sproporzionato e irragionevole incidere sull’edizione del Festival già svolta e sull’edizione che si svolgerà tra pochi mesi”.
E questo perché i giudici ritengono che la società Je abbia un “evanescente interesse al travolgimento delle stesse Convenzioni. Ciò in quanto la ricorrente non ha fornito alcuna indicazione in ordine alla prospettata aggregazione con altri soggetti che sola consentirebbe alla stessa (eventualmente) di aggiudicarsi la gara per la concessione del marchio e di organizzare il festival”.
“È una sentenza inaspettata, articolata e complessa. Insieme ai dirigenti del Comune e ai nostri consulenti legali, la approfondiremo con scrupolosa attenzione nei prossimi giorni, anche al fine di pianificare le migliori strategie per il futuro” è il primo commento del sindaco di Sanremo, Alessandro Mager.
La Rai sosteneva nelle sue memorie “che l’inscindibile legame esistente tra il marchio e il format di Rai impedirebbe al Comune di concedere l’uso in esclusiva del marchio a soggetti che abbiano elaborato un format alternativo a quello di Rai. Non potrebbe, quindi, avere luogo una procedura di evidenza pubblica per l’individuazione di un operatore cui concedere l’uso in esclusiva del marchio, perché detto operatore non potrebbe che essere la stessa Rai”. Ma i giudici non hanno condiviso tale impostazione perché “il marchio, per definizione, è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa, ossia è un segno che identifica un prodotto o un servizio al fine di differenziarlo da altri prodotti o servizi (simili) offerti dai concorrenti.Identificare, come propone Rai, il marchio con il mero titolo di un format di cui, per tutte le componenti diverse dal titolo, sarebbe titolare Rai è fuorviante”.
I giudici per dimostrare “l’infondatezza della tesi dell’indissolubilità del legame tra il marchio e il format di Rai” elencano una serie di stravolgimenti nelle varie edizioni del festival. “L’edizione del 2021, svoltasi senza la presenza del pubblico all’interno del teatro causa Covid… la non coincidenza del direttore artistico con il conduttore (edizione 2004)…l’introduzione (nel 2004) del televoto da parte del pubblico… la soluzione di continuità tra le cinque serate (normalmente consecutive), verificatasi nel 2006… l’alternanza di edizioni caratterizzate dalla suddivisione dei partecipanti in categorie o sezioni (ad esempio, “Campioni” e “Giovani”)” e altro ancora. I giudici, invece, non ritengono di loro competenza analizzare un argomento sollevato dai legali della Rai “circa la possibilità che l’associazione del marchio a un format completamente diverso dal proprio comporti la perdita della capacità distintiva del marchio medesimo”.