Riforma elettorale: reintrodurre le preferenze sarebbe uno sbaglio

Un Paese afflitto da amnesia storica

Solo un Paese afflitto da amnesia storica può perdere tempo prezioso a discutere se reintrodurre o meno nella riforma elettorale, il sistema delle preferenze. Sembra che tutti abbiano dimenticato che cosa siano state e quali funzioni svolgessero, nella Prima Repubblica, le suddette preferenze; i politici immemori di ciò sembrano volerle ripristinare. Non è un caso che in tutte le democrazie occidentali che utilizzano il sistema elettorale proporzionale viga la lista bloccata, non le preferenze. Infatti le preferenze non rappresentano affatto, come vogliono farci credere in modo subdolo ed interessato alcuni gruppi politici, un metodo democratico e trasparente che permette al cittadino di scegliere il proprio candidato, anzi, le cose stanno diversamente. Esse sono lo strumento mediante il quale i candidati ed i gruppi di interesse che li sostengono, sia al livello nazionale che locale, entrano in competizione con gli altri candidati dello stesso partito. Quindi le preferenze inducono in modo latente ad una distorsione del metodo democratico di partecipazione all’elezione dei propri rappresentanti in seno al Parlamento. Molti, soprattutto i nostalgici della Prima Repubblica, obiettano che le preferenze le abbiamo avute per decenni, fino agli anni novanta, ma dimenticano che condizioni storiche erano diverse. Infatti il sistema politico fino agli inizi degli anni 90 era bloccato, non c’era alternanza (i comunisti non potevano vincere). In un sistema del genere con i democristiani ed i loro alleati costantemente al potere, le preferenze servivano a garantire competizione fra le varie correnti interne ai partiti di governo, senza poi sottovalutare il fatto che non era contemplato nel codice penale il reato di voto di scambio. Agli apologeti delle preferenze va ricordato che con la reintroduzione delle stesse sarà ancora più facile vedere politici inquisiti o in galera.

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