L’incontro tra il premier Mario Draghi e il leader M5s Giuseppe Conte è stato rinviato dopo la tragedia della Marmolada che vede il presidente del Consiglio impegnato nel sopralluogo in Trentino.
Conte aveva dato la disponibilità al rinvio del faccia a faccia quando ha saputo che il capo del governo si stava recando a Canazei.
Di conseguenza, è stato rinviato anche il Consiglio nazionale del Movimento.
Palazzo Chigi attende l’incontro per fare delle valutazioni e tirare eventualmente delle conclusioni. Nessuna previsione e nessuna indicazione sugli eventuali punti di caduta del presidente del Consiglio rispetto alle possibili richieste di Conte. Anche se la strada già tracciata ( e condivisa con i partiti) da qui a fine anno, a cominciare dall’applicazione del Pnrr e dal via libera alle riforme indispensabili, rappresenta comunque la stella polare per le mosse del governo.
Dunque, ascolto ma nessun deragliamento dalla linea impostata. Con la conferma netta di non aver mai chiesto al Garante di far fuori l’ex premier dalla guida dei 5 stelle.
Sullo sfondo c’è l’incognita dell’uscita dall’Esecutivo per un eventuale appoggio esterno, un epilogo verso il quale stanno spingendo molti ortodossi M5s. Un processo che comunque minerebbe alle fondamenta la tenuta del governo e della legislatura stessa. E sul quale Il Colle, lo stesso Palazzo Chigi, ma anche il Pd e Luigi Di Maio non sembrano individuare alternative. Se il movimento farà il passo estremo di chiamarsi fuori, l’unica strada sarà quella della fine del governo e probabilmente dello scioglimento delle camere.
Dal Pd, intanto, il monito di Franceschini: se il movimento sceglie l’appoggio esterno “porterà alla fine del governo e all’impossibilità di andare insieme alle elezioni”.
Ore infuocate, non solo dall’ondata di calore estivo, nei palazzi della politica. Dove il clima teso tra Mario Draghi e Giuseppe Conte mette seriamente a rischio la vita dell’esecutivo. Secondo diverse fonti il cerchio ristretto del capo politico del M5s avrebbe già deciso per l’uscita, in realtà le difficoltà non mancano, a partire dal rischio di un auto-isolamento dei 5 stelle soprattutto nei confronti del Pd, che non ha alcuna intenzione di accollarsi un altro governo tecnico.
L’incontro sarà preceduto dal Consiglio nazionale del Movimento che si riunirà per definire la linea in vista dell’appuntamento ‘chiarificatore’. “Sono ancora ottimista, il governo non rischia. Questo governo non si fa senza Cinquestelle. Il governo è nato con i Cinquestelle, non si accontenta di un appoggio esterno”, ha detto il premier lo scorso 30 giugno, in conferenza stampa, interpellato sul rapporto con il M5S.
Negli ultimi giorni, si è parlato di voci e rumors secondo cui Draghi avrebbe chiesto a Beppe Grillo la rimozione di Conte dai vertici del Movimento 5 Stelle. “Non ho mai fatto queste dichiarazioni. Mi dicono che ci sono riscontri oggettivi. Messaggi? Vediamoli, li aspetto. Non ho mai neanche pensato di entrare nelle questioni interne di un partito. Credo che anche Grillo abbia smentito”. A tutti coloro che lo hanno sentito Draghi ha ribadito con forza, viene inoltre raccontato, che “mai ha detto” le parole che gli sono state attribuite dal sociologo Domenico De Masi, ovvero di volere Conte fuori dalla guida del Movimento.
Qualche che sia l’esito dei chiarimenti sul fatto in questione, servirà un ‘riconoscimento politico’ di qualche tipo per far rientrare nei ranghi il M5s, che legittimamente pretende rispetto in questa delicata fase verbale. Un segno di disgelo potrebbe arrivare sul reddito di cittadinanza, uno stop alle modifiche più volte ventilate nelle ultime settimane potrebbe rappresentare un riconoscimento su una delle questioni maggiormente identitarie per il Movimento in crisi d’identità.
Anche perché da parte Pd non arrivano cenni di comprensione in proposito. “Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5S dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione – perché un appoggio esterno è una rottura – per noi porterà alla fine del governo e all’impossibilità di andare insieme alle elezioni. E si brucerà chiaramente ogni residuo possibilità di andare al proporzionale” – dicono chiaro e tondo dal Nazareno.
L’idea che aleggia in alcune aree del M5s in caso di strappo e dimissioni di Draghi – un governo tecnico a guida Daniele Franco per l’ordinaria amministrazione che permetterebbe ai peones pentastellati di scavalcare il mese di settembre e intascare comunque il vitalizio – è destinata a fallire. Dal Pd sono stati chiari in merito. Come sottolinea il sito Dagospia in un suo report, anche se Mattarella non ha alcuna intenzione di sciogliere il Parlamento, vista la drammatica situazione in cui si trova il paese, sarà infatti il Pd a non accettare un governo con appoggio esterno dei grillini, ipotesi caldeggiata da una nutrita parte dei 5S, né tantomeno il varo di un esecutivo tecnico.