Presentato a Roma il 2°Rapporto sul processo penale in Italia
A distanza di oltre un decennio l’Eurispes e le Camere Penali fanno il punto della situazione con una nuova Indagine sul Processo Penale in Italia. La prima indagine, svolta nel 2008, aveva l’obiettivo di verificare, secondo i criteri rigorosi della scienza statistica, che cosa accadesse davvero nelle Aule giudiziarie del nostro Paese.
L’indagine è stata dunque ripetuta con lo stesso ambizioso obiettivo: monitorare i procedimenti attraverso l’analisi di un campione statistico nazionale e comparare i risultati con quelli già ottenuti. I questionari utilizzati per l’indagine sono stati ampliati ed aggiornati in funzione delle modifiche legislative successive al 2008.
Dichiara il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: «La ragionevole durata del processo come diritto dell’imputato, ma anche delle vittime, rappresenta un principio costituzionale, purtroppo costantemente violato nel nostro Paese. La lunghezza abnorme dei processi rappresenta un ostacolo per la competitività del Paese, ma anche per il suo livello di civiltà complessiva. Quello della giustizia — prosegue il Presidente Fara — è un problema di funzionalità generale di un essenziale servizio che va reso ai cittadini. Un sistema di giustizia rispettoso dei princìpi costituzionali deve tenere insieme l’indipendenza della magistratura e del singolo magistrato, l’efficacia della risposta giudiziaria rispetto ai diritti che reclamano tutela, l’efficienza del servizio intesa come rapporto corretto fra risorse e risultati, questioni, purtroppo, ancora irrisolte. Accanto ai nodi storici e non risolti se ne sono sviluppati altri nuovi e più complessi, che mettono in discussione l’equilibrio dell’organizzazione stessa dello Stato e la giustizia è diventata terreno di confronto e di scontro tra i diversi schieramenti politici e tra i poteri dello Stato».
Sottolinea il Presidente dell’Unione delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza: «A distanza di dodici anni dalla prima ricerca UCPI-Eurispes, trovano conferma il metodo ed il merito già affermati allora. Non è serio affrontare i temi del processo per slogan o per pregiudizi ideologici. Bisogna che parlino i dati statistici. Questa ricerca fotografa, come nessun’altra, le vere cause della durata irragionevole dei processi penali in Italia; che non risiedono nelle regole di garanzia del giusto processo e del diritto di difesa, ma in gravissime carenze strutturali della macchina amministrativa. Intervenire sui diritti dei cittadini imputati per ridurre i tempi processuali è dunque illusorio, oltre che pretestuoso. Questa ricerca smaschera chi da sempre vuole cogliere il pretesto dei tempi lunghi del processo penale per riscriverne le regole fuori dal quadro costituzionale definito dall’art. 111 della Costituzione».
La riforma del sistema giudiziario, in direzione di una maggiore efficienza, rappresenta uno dei punti chiave sui quali il nostro Paese è stato chiamato ad attivarsi dall’Ue anche nella messa a punto prima e del rispetto poi del Recovery Plan (per l’intervento in favore dell’innovazione organizzativa della giustizia sono previsti 2 miliardi). Il primo obiettivo indicato è proprio la riduzione della durata dei processi, partendo dall’innovazione dei modelli organizzativi e puntando sull’implementazione delle tecnologie e della digitalizzazione.
L’indagine ha preso dunque in esame 32 Tribunali distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale ed ha monitorato 13.755 processi.
I risultati parlano con estrema chiarezza. Dei processi penali monitorati in primo grado solo un quinto (20,7%) arriva a sentenza. Nel 78,7% dei casi, il procedimento termina con il rinvio ad altra udienza. E la durata media del rinvio si attesta intorno ai 5 mesi per i procedimenti in Aula monocratica e 4 mesi per quelli davanti al Tribunale collegiale.
Rispetto al 2008, la ricerca evidenzia un aumento della percentuale dei rinvii ad altra udienza (+9,4%: nel 2008 la quota era del 69,3%). L’incidenza delle sentenze è scesa dal 29,5% al 20,7%. Per quanto concerne i procedimenti terminati in sentenza, le assoluzioni rappresentano poco meno del 30%: di questi, il 3,7% è rappresentato da assoluzioni ex art. 131 bis c.p. (non punibilità per particolare tenuità del fatto).
Le condanne incidono per il 40,4% delle sentenze; percentuale nettamente più bassa di quella rilevata nel 2008 (60,6%). Al contrario, risulta molto più elevata la quota relativa all’estinzione del reato: 24,5%, a fronte del 14,9% del 2008.
La prescrizione è un motivo di estinzione del reato che incide per il 10% sui procedimenti arrivati a sentenza e rappresenta poco più del 2% del totale dei processi monitorati.
Peggiorata la situazione anche per quanto riguarda i tempi di rinvio ad altra udienza che risultano ulteriormente allungati rispetto al 2008: da 139 nel 2008 a 154 giorni per i procedimenti in Aula monocratica e da 117 a 129 giorni per quelli davanti al Tribunale collegiale.
Al contrario, sempre più breve è la durata dei procedimenti: solo 14 minuti in Aula monocratica (18 nel 2008), 39 minuti davanti al Tribunale collegiale (52 nel 2008).
Prendendo in esame le ragioni di rinvio ad altra udienza, più frequenti sono il fatto che si trattava di un’udienza di sola ammissione prove (16,4%), la prosecuzione dell’istruttoria (allorché l’attività istruttoria fissata per quella udienza si è regolarmente svolta e completata) (16,1%), la discussione (10,7%), l’assenza dei testi citati dal PM (8,3%), l’omessa o irregolare notifica all’imputato (6,2%), la richiesta di messa alla prova (4,3%), l’assenza del Giudice titolare (3,3%).
Accanto a ragioni “fisiologiche”, dunque, sull’elevatissimo numero di rinvii incidono anche ragioni “patologiche”, come l’omessa/irregolare notifica all’imputato e l’assenza del Giudice titolare – assenza che determina il rinvio di tutti i procedimenti fissati per quell’udienza.
Mettendo i risultati a confronto con quelli del 2008, emergono ragioni meno frequenti rispetto al passato: l’udienza di sola ammissione prove (dal 27% al 16,4%), i problemi logistici (assenza trascrittori, orario sindacale del personale) (dal 6,8% allo 0,4%), l’assenza del Giudice titolare (dal 12,4% al 3,3%). Si segnala, invece, l’incremento della prosecuzione dell’istruttoria (non rilevata nel 2008, ora al 16,1%) e della assenza dei testi citati dal PM (non rilevata nel 2008, ora all’8,3%), e l’introduzione della messa alla prova.
Prendendo in esame le ragioni del rinvio ad altra udienza in relazione alla macroarea geografica di riferimento del processo, si osserva che la udienza di sola ammissione prove rappresenta la causa più frequente al Nord, con un picco del 22,6% al Nord-Est ed un 14,1% al Nord-Ovest. Al Centro il peso delle udienze di sola ammissione prove (18%) equivale sostanzialmente a quello della prosecuzione dell’istruttoria (allorché l’attività istruttoria fissata per quella udienza si è regolarmente svolta e completata) (18,4%). Nelle Isole in particolare ed al Sud la prima ragione di rinvio è la prosecuzione dell’istruttoria (rispettivamente 23,7% e 19%). Al Sud si trova la più elevata percentuale di omessa/irregolare notifica all’imputato (9,6%) e di assenza dei testi citati dal PM (13,9%); al Centro ed al Sud la percentuale più alta relativa all’assenza del Giudice titolare (rispettivamente 6% e 5%); nelle Isole quella relativa alla discussione (14,2%). Il Nord-Ovest si segnala per la frequenza superiore alla media di rinvii dovuti alla richiesta di messa alla prova (8,3%).
Se a livello nazionale la durata media del rinvio dell’udienza si attesta, nel complesso, a 152 giorni, a livello di macroarea geografica emergono alcune differenze interessanti. Il Nord-Ovest si segnala per i più brevi tempi medi di rinvio (111 giorni); anche nelle Isole la durata media è inferiore a quella nazionale (132 giorni). Al Nord-Est si registrano valori vicini alla media nazionale (158 giorni), mentre al Sud si riscontrano i valori più alti (186 giorni) ed al Centro una durata superiore alla media (171 giorni).
L’indagine conferma, sul piano nazionale, l’inconcludenza della larga parte dei procedimenti penali e la diffusione di lungaggini ed inefficienze, che rendono ancor più farraginosa la macchina della giustizia. Se i problemi appaiono generalizzati, si rileva, d’altra parte, la presenza di particolari ritardi nel Mezzogiorno, soprattutto rispetto al Nord-Ovest.
I risultati della ricerca dimostrano, ancora una volta, che le disfunzioni del dibattimento penale, ed in particolare la sua abnorme durata, sono in primo luogo conseguenza del dissesto degli apparati giudiziari e della disorganica gestione degli stessi.
In questa chiave prospettica, il risultato conoscitivo dello studio conduce a verità controintuitive sul processo penale. Solo per fare un esempio: accertato che le sentenze di prescrizione in dibattimento di primo grado ascendono al 2% circa dei processi celebrati (o, se si preferisce, a poco più del 10% delle sentenze emesse) e incrociato il dato con quello ministeriale, secondo cui il 65/70% delle prescrizioni totali matura prima del dibattimento (la maggior quota in fase di indagine preliminare), si può comprendere quanto poco provveduta sia quella norma, introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. e), n.1), della legge 9 gennaio 2019 n.3, in vigore dal 1 gennaio 2020, che congela il corso della prescrizione a far data dall’emissione della sentenza di primo grado: essa sarà operativa in un numero di casi assai esiguo, cadendo completamente fuori dal perimetro di effettività del problema prescrizione.