Rivelatore è il Teatro Trastevere con “La notte finisce all’alba”

Attesa da due anni, è andata in scena ieri 22 marzo la prima di “LA NOTTE FINISCE ALL’ALBA”, libero adattamento e riscrittura di “Spettri” scritto nel 1881 dal drammaturgo norvergese Henrik Ibsen, con la drammaturgia e regia di Giancarlo Moretti, al Teatro Trastevere fino a domenica 27 marzo.
 L’opera, capolavoro della letteratura teatrale della fine del XIX secolo, è fedele all’originale solo nella parte inziale, fino a quando fa ingresso l’ingegnere Alving, marito della sign.ra Helene Alving, che nel testo di Ibsen invece è defunto e non apparirà mai. 
Il regista Moretti si serve del malefico Alving per riportare in vita l’origine delle sofferenze di tutti i personaggi. 
Gli spettri, vocabolo che solo l’ingegnere nominerà più volte nei dialoghi, appaiono progressivamente: intrecci, trame di odio, rabbia, invidia, classismo, disprezzo, ossessioni e debolezze smascherano l’ipocrisia di una borghesia messa a nudo.
La scena è ambientata in un generico salotto casalingo di una famiglia borghese. Inizialmente Regine Engstrand, la giovane domestica, intrattiene un dialogo con l’onorevole Menderz, personaggio che per primo porta  i valori di un bigottismo eccessivo.
Questo nell’originale era un pastore, il cambio è dovuto alla scelta di Moretti di ambientare la vicenda negli anni ’60 del XX secolo, anche questo visto come momento di “transizione” morale nella società occidentale. 
Così il regista trasla i valori bigotti di un pastore in un politico del nostro secolo.
La scenografia, curata da Paola Salomon, è arricchita dalle riproduzioni di Kandiskij e Mirò testimoni del parallelismo di questi due periodi, segno di rivoluzione del pensiero che Osvald Alving, figlio di Helene, sta vivendo a Parigi all’interno degli ambienti artistici da lui frequentati. 
Osvald è ammirato e sostenuto dalla propria madre, stufa della cornice di ipocrisia che la circonda.
La cifra registica del regista Giancarlo Moretti è assolutamente sperimentale e fa l’occhiolino alla drammaturgia shakespeariana.
Colpiscono i riferimenti al personaggio di Ofelia, vittima delle conseguenze, affidati alla domestica Regine.
“La sensibilità è come una spina per chi vuole sentire il profumo della rosa”: forte la drammaturgia che troviamo nella sua riscrittura che è diversa ma non meno bella dell’originale.
Efferate sono le ingiustizie e le menzogne scaturite dai comportamenti di tutti i presenti in scena.
Di forte effetto è l’interpretazione degli attori Alessandro Calamunci Manitta, Giovanna Cappuccio, Ilaria Fantozzi, Vincenzo Longobardi, Mauro Toscanelli e Ornella Lorenzano i quali manifestano turbamenti che solo ora possono affrontare senza rimanerne vittime. Rimarranno comunque segnati dalla tragedia.
Barbara Lalle

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