Nel 1980 quando ci fu lo scontro dei 35 giorni alla Fiat ero appena stato eletto segretario generale di Fiom Piemonte. Quella battaglia che fu persa dal sindacato era guidata per la Fiat da Romiti. Era un avversario molto duro e determinato, che vinse quella battaglia contro il sindacato anche perché a mio avviso commettemmo degli errori. Quello scontro fu più contro l’azienda che per gestire un processo di ristrutturazione che per la prima volta vedeva in una grande impresa lo spettro dei licenziamenti. La vertenza divenne alla fine confederale”. Così l’ex ministro del Lavoro e sindacalista Cesare Damiano, ricorda la figura di Cesare Romiti, ex presidente ed amministratore delegato di Fiat, scomparso oggi all’età di 97 anni.
Damiano racconta ancora di quella “dura battaglia che ebbe delle gravissime conseguenze. Ricordo che in cassa integrazione furono messi 14mila lavoratori, ma per processi spontanei indotti dall’azienda e dalle gerarchie che si erano create. Tra l’80 e l’85 lasciarono il settore auto circa 50mila lavoratori. Il sindacato vide un arretramento delle sue condizioni di forza e una perdita notevole di iscritti e consensi. Romiti non arrivava direttamente dall’esperienza della Fiat, fu importato, ma impostò quella battaglia in scontro aperto con il sindacato. La situazione fu vissuta come una questione di vita o di morte per l’azienda. Ci furono come avvisaglia 62 licenziamenti che avevano colpito gli elementi più estremisti presenti nell’azienda”.
“Una azienda che solo a Mirafiori nell’80 aveva circa 60mila dipendenti – conclude l’esponente del Pd – e oggi di quei 60mila, malfermi sulle gambe e legati al destino delle commesse, restano a malapena 10mila lavoratori. Sono state anche chiuse le fabbriche di Chivasso, Rivalta e Lingotto che totalizzavano altri 40mila lavoratori. Dopo quella famosa sconfitta sindacale era iniziato un processo di restaurazione, in un clima internazionale con l’avvento al potere di Regan negli Stati Uniti”.