Dopo il riavvio in commissione Lavoro della Camera dell’esame della proposta di legge delle opposizioni, tranne Italia viva, sul salario minimo, il dem Arturo Scotto, Francesco Mari di Avs, la pentastellata Valentina Barzotti e Benedetto della Vedova per Più Europa guardano al 28 novembre, giorno in cui la pdl è stata ricalendarizzata per l’Aula, come la data ‘X’, “la dead line”, entro cui governo e maggioranza saranno costretti a esprimersi con un voto: “Ci mettano la faccia, come dice sempre Meloni, e si esprimano con un voto”.
Scotto chiarisce: ‘Il testo base che tornerà in Aula è quello nostro sul salario minimo. Sono passati 11 mesi da quando abbiamo iniziato questo percorso e c’è un dato inequivocabile: le opposizioni sono unite, mentre la destra no e non è chiaro quale sia la loro proposta. C’è una data, il 28 novembre, che è l’ennesima dead line e questa volta non potranno presentarsi con un terzo rinvio. Vorremmo sapere qual è la proposta della destra, la tirino fuori. È quella di FI? Lo dicano. Stanno ancora studiando? Siamo pronti a fornire consulenze gratuite. È la proposta del Cnel? Allora a cosa serve il ministro del Lavoro? Noi siamo uniti e determinati, mentre la destra è in difficoltà e fa errori. Ma non può passare l’idea che si continui a traccheggiare sulla vita delle persone. Come sulle pensioni: sono ore che la Lega spara sul governo dicendo che occorre cambiare le bozze scritte dal proprio ministro dell’Economia. Prima o poi la destra dovrà svelare il gioco. Non potranno più scappare: dovranno dire o si’ o no’.
La proposta di Forza Italia è di Barelli, ma non tratta il salario minimo, bensì prevede un ampliamento della contrattazione collettiva.
La 5 stelle Barzotti interviene: ‘I lavoratori poveri hanno bisogno di risposte immediate e per noi la più efficace è il salario minimo, ovvero una soglia sotto la quale non è più lavoro ma sfruttamento. L’unica carta del centrodestra che c’è, è la proposta di legge di Forza Italia e vogliamo sapere se è la proposta della maggioranza e se è quella che esprime la politica di questo governo. Adesso in commissione il governo dovrà assumersi la responsabilità di dire sì o no agli emendamenti e si assuma anche la responsabilità di bocciare il salario minimo, poi lo spieghi a oltre 3 milioni di italiani’.
Intanto in commissione si procederà con un breve ciclo di audizioni, a partire dal Cnel, autore dell’ormai famoso documento approvato a maggioranza in cui si boccia il salario minimo, poi si riaprirà il termine degli emendamenti e, forse, quella sarà l’occasione per capire le mosse future della maggioranza.
Le opposizioni non colgono che a bocciare l’idea del salario minimo è anche l’Ufficio Studia della Cgia di Mestre: ‘Come ha avuto modo di segnalare anche il Cnel, il problema dei lavoratori poveri non parrebbe riconducibile ai minimi tabellari troppo bassi, ma al fatto che durante l’anno queste persone lavorano un numero di giornate molto contenuto. Pertanto, più che a istituire un minimo salariale per legge andrebbe contrastato l’abuso di alcuni contratti a tempo ridotto. Per innalzare gli stipendi dei lavoratori dipendenti, in particolar modo di quelli con qualifiche professionali minori, bisognerebbe continuare nel taglio dell’Irpef e diffondere maggiormente la contrattazione decentrata. Avendo una delle percentuali relative al numero di lavoratori coperto dalla contrattazione collettiva nazionale tra le più alte a livello europeo (95 per cento del totale dei lavoratori dipendenti), dovremmo spingere per diffondere ulteriormente anche la contrattazione di secondo livello, premiando, in particolar modo, la decontribuzione e il raggiungimento di obbiettivi di produttività, anche ricorrendo ad accordi diretti tra gli imprenditori e i propri dipendenti. Così facendo, daremmo una risposta soprattutto alle maestranze del Nord e in particolar modo delle aree più urbanizzate del Paese che, a seguito del boom dell’inflazione, in questi ultimi due anni hanno subito, molto più degli altri, una spaventosa perdita del potere d’acquisto’-
Oltre ad estendere l’applicazione della contrattazione decentrata, l’Ufficio studi della Cgia ritiene che per appesantire le buste paga sarebbe necessario rispettare le scadenze entro le quali rinnovare i contratti di lavoro. Al netto del settore dell’agricoltura, del lavoro domestico e di alcune questioni di natura tecnica, al 1° settembre scorso il 54 per cento dei lavoratori dipendenti del settore privato aveva il Ccnl scaduto. Si parla di quasi 7,5 milioni di dipendenti su un totale che sfiora i 14 milioni. Dopo quello del Cnel un altro parere che demolisce l’idea portata avanti da Elly Schlein, Giuseppe Conte e Carlo Calenda.