Visite specialistiche e accertamenti diagnostici prescritti dai medici che il Servizio sanitario nazionale dovrebbe erogare, ma che 19,6 milioni di italiani sono stati costretti a pagare di tasca propria. L’alternativa? Aspettare tempi biblici a danno, magari, della propria salute. È, nei fatti, il fallimento dei Lea – i livelli essenziali di assistenza – riformulati due anni fa, dopo una lunga attesa, e che hanno incluso prestazioni prima orfane, da alcune malattie rare a procreazione medicalmente assistita e endometriosi. Peccato che il Ssn non riesca a garantire queste ed altre prestazioni in tempi adeguati.
Quando si va a prenotare l’esame medico i tempi d’attesa sono così lunghi che è necessario rivolgersi alla sanità a pagamento, privata o intramoenia. Il 44% della popolazione, a prescindere dal proprio reddito, si è rassegnato a pagare personalmente prestazioni che gli sarebbero dovute dietro il pagamento di un semplice ticket. Tutto questo emerge dal IX Rapporto Rbm-Censis, presentato ieri al Welfare Day 2019: sono 19,6 milioni gli italiani che nell’ultimo, per almeno una prestazione sanitaria, hanno provato a prenotare nel Ssn e poi hanno ripiegato sulla sanità privata. Ma di chi è la responsabilità?
Per il ministro della Salute, Giulia Grillo, non ci sono dubbi: delle Regioni. “C’è una quota di spesa privata a cui i cittadini ricorrono sia per una scelta autonoma che per lunghe liste d’attesa negli ospedali. Questo è un tema che ho fortemente cercato di risolvere e ora – spiega la Grillo –: le Regioni hanno la possibilità di erogare la prestazioni in intramoenia o con delle convenzioni nel privato accreditato, facendo pagare solo il ticket al paziente”. Insomma secondo il ministro la soluzione c’è: “Io direi che non ci sono più scuse, è solo un problema organizzativo”, sottolinea.
Il principio inderogabile è che “va garantito a tutti l’accesso al Ssn” ma poi “in un sistema libero, dove ci sono offerte di sanità privata, il cittadino può decidere di andare da un medico che lavora nel privato”.
In media, si aspettano 128 giorni per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, in media 97 giorni ‘sfumano’ prima di effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia.
Finiscono nella sanità a pagamento il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche – con una punta di oltre il 42% al Sud – e quasi il 25% dei tentativi di prenotare un accertamento diagnostico.
La spesa privata è salita a 37,3 miliardi di euro con un incremento di oltre il 7% rispetto al 2014: in ogni famiglia si spendono fino a 1.437 euro anche laddove ci sono redditi bassi (nel 38% dei casi) e per oltre la metà di chi ha redditi alti. Ma cosa si chiede al privato? Nel 92,5% dei casi visite oncologiche, per l’88% di chirurgia vascolare, nell’83,6% accertamenti diagnostici, nell’82,4% prime visite cardiologiche con Ecg.