Non ci sono ristoranti stellati che tengano: se non si riesce a deglutire, ogni alimento, anche il più pregiato, come pure un sorso di acqua, può diventare pericoloso ed essere causa di seri problemi per la salute. Dalla necessità di emettere un colpo di tosse per liberare la gola chiusa, al rischio che il cibo finisca aspirato dalle vie aree, fino alla malnutrizione, che colpisce il 60 per cento dei disfagici. Capita quando la deglutizione, un atto (apparentemente) facile e automatico, diventa difficoltosa. Questa condizione clinica è definita con il termine ‘disfagia’, cioè la ridotta o alterata capacità di masticare il cibo ed inghiottirlo, facendo progredire correttamente il bolo alimentare nel tratto gastrointestinale. Problematica sottostimata perché si pensa sia sempre riferita solo agli over 65, mentre ne è coinvolta in realtà tutta la popolazione adulta, con percentuali elevate soprattutto dopo i 50 anni (20% circa) e con un sensibile aumento tra i 75enni (45%). Punte del 60% si raggiungono fra i sempre più numerosi residenti delle RSA o in pazienti in assistenza domiciliare, specie se con malattie neurodegenerative come il Parkinson, dove la disfagia già insorge naturalmente nel 20-40% dei casi, e l’Alzheimer, o in persone con ictus. Senza contare pazienti ospedalizzati per tumore o con problemi cardiovascolari. La difficoltà a deglutire il cibo azzera la voglia e la volontà di avvicinarsi alla tavola, e porta al rifiuto quasi totale del cibo, con conseguenti rischi: calo di peso importante (fino al 20%) e conseguentemente malnutrizione che porta ad un indebolimento del sistema immunitario, affaticamento fisico generale, esposizione a maggiori rischi (come le piaghe da decubito). Per affrontare questo problema oggi la scienza e la ricerca hanno ‘impiattato’ soluzioni che non sono il solito cibo incolore e insapore, ma menù vari ed equilibrati, nei quali si alternano pietanze differenti 7 giorni su 7, che ripropongono piatti tipici della tradizione culinaria, con l’obiettivo di mantenere vivo il piacere di alimentarsi. Di aspetto gradevole e colore brillante, gustosi al palato, calibrati per grammatura, di consistenza adeguata, igienicamente sani e sicuri, grazie a procedimenti di cottura sottovuoto e a bassa temperatura, i ‘nuovi cibi’ garantiscono la conservazione dei sapori e della qualità, tanto da garantire un mini rivoluzione nell’approccio al cibo del paziente con disfagia, oltre ad un risparmio dei costi: a dimostrarlo sono i risultati di uno studio condotto presso l’Azienda di Servizi alla Persona di Pavia (ASP), polo geriatrico dell’Università di Pavia. Tre mesi di “dieto-terapia” con prodotti di questo tipo hanno portato a un netto miglioramento nutrizionale e di salute dei pazienti, compresa la diminuzione dello stato infiammatorio, controllato dall’apporto adeguato di tutti i principi nutritivi, soprattutto vitamine e sali minerali. Un importante passo avanti in un settore da sempre sottovalutato. Di questo e di molti altri aspetti associati alla disfagia se ne è parlato a Milano al convegno “Disfagia una patologia. La nutrizione una risposta” con il contributo non condizionato di So.Vite.
“La deglutizione – spiega Mariangela Rondanelli, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Riabilitazione ad Indirizzo Metabolico presso l’Istituto di Riabilitazione Santa Margherita di Pavia (Azienda di Servizi alla Persona di Pavia (ASP), polo geriatrico dell’Università di Pavia) e direttore della Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione dell’Università di Pavia – sembra un atto ‘facile’ e spontaneo. In realtà si tratta di un processo fisiologico complesso che deve consentire la formazione del bolo e il passaggio del cibo dalla bocca, dove viene ingerito, allo stomaco, dove verrà digerito. Necessita dunque della perfetta coordinazione della muscolatura e di tutte le strutture che coinvolgono orofaringe, laringe ed esofago. Il mancato equilibrio anche di una sola di queste componenti altera la buona funzionalità della deglutizione portando a possibili conseguenze anche gravi, innescate dalla disfagia. Un problema sottostimato, invece prevalente in gran parte della popolazione, in particolare la popolazione anziana e con patologie neurodegenerarative”. La conseguenza principale della disfagia è la malnutrizione del paziente, per cui l’ingestione del cibo diventa un dramma, tanto da portarlo a ridurre al minimo o a rinunciarvi volontariamente. “La quotidiana necessità di affrontare questi problemi con i nostri pazienti – spiega la prof. Rondanelli – ci ha portato a valutare molte tipologie di preparazioni e prodotti per cercare di capire come ovviare, almeno in parte, al rifiuto del cibo. Lo abbiamo fatto attraverso uno studio vero e proprio, come Dipartimento di sanità Pubblica dell’Università di Pavia. Abbiamo misurato su 25 pazienti disfagici lo stato nutrizionale e parametri ematochimici, metabolici e nutrizionali, prima e dopo 3 mesi di dietoterapia, a base cibi a consistenza modificata, bilanciati in macro e micronutrienti, preparati con tipologia di Cottura sottovuoto a bassa temperatura con raffreddamento in continuo, che consente di mantenere inalterate le caratteristiche chimiche, fisiche ed organolettiche dei cibi, rendendo inoltre minima la dispersione di nutrienti, che si verifica tipicamente nelle cotture convenzionali. Con questo studio è stato possibile rilevare un aumento del consumo e del gradimento del cibo dell’11% che ha portato a un incremento del peso di circa il 3% e a una diminuzione dello stato di infiammazione generale con ricadute sul miglioramento delle condizioni di salute”.
Sono stati anche analizzati costi e risparmi. “Le caratteristiche di questi prodotti, freschi e pronti all’uso e la tipologia di confezionamento – conclude la prof.ssa Rondanelli – permettono di ottimizzare i processi produttivi, ridurre i tempi di lavoro e di distribuzione dei pasti e di poterli proporre al paziente anche una volta dimesso e rientrato al proprio domicilio. Aspetti che fanno guadagnare alla spesa pubblica circa 80 centesimi per ogni piatto distribuito. Questi cibi speciali saranno classificati come ‘Alimenti a fini medici speciali’ (AFMS) per i quali è in corso l’iter di ottenimento al Ministero della Salute. Le spese di acquisto potranno quindi essere detratte al 19%”.