La popolazione italiana con HIV, che conta circa 130mila persone viventi, tende ad aumentare ogni anno. Poco meno di 4mila le nuove diagnosi, per un contagio ogni due ore. Una notizia buona c’è: ci si ammala e si muore molto meno. Il rischio di ammalarsi di AIDS in chi attua una terapia precoce è, secondo gli ultimi dati, meno del 2%. Purtroppo più del 50% dei casi scopre di avere la malattia in una fase avanzata. Ma c’è anche un 15% di popolazione che non sa di averlo. E di questi almeno un terzo è già in una fase avanzata di malattia. Se ne parlerà durante la nona edizione di ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research), che si terrà dal 12 al 14 giugno 2017 a Siena. Il congresso, presieduto dai professori Maurizio Zazzi (Siena), Andrea Antinori (Roma) e Andrea De Luca (Siena), si svolgerà presso l’Università degli Studi di Siena – Centro Didattico del Policlinico S. Maria alle Scotte. Attesi 800 specialisti tra medici e ricercatori di vari settori coinvolti nell’assistenza e cura dell’infezione da HIV e volontari delle associazioni impegnate nella lotta contro l’AIDS.
L’obiettivo, in continuità con le passate edizioni, è presentare e discutere le novità in tema di ricerca, prevenzione, diagnosi e cura delle infezioni da HIV e da virus dell’epatite B e C. ICAR (Italian Conference on Antiviral Research) è organizzata sotto l’egida della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e con il patrocinio di tutte le maggiori società scientifiche di area infettivologica e virologica. Il sesso non protetto è causa dell’86% delle infezioni, mentre ormai i contagi per trasmissione endovenosa sono inferiori al 4%. Per quanto riguarda le nuove diagnosi, prevalgono quelli nella fascia d’età tra i 30 e i 50 anni, seppur l’incidenza sia maggiore in quelli con la decade precedente. Non esiste, invece, una sostanziale differenza, in termini di numero di nuove diagnosi, tra chi ha acquisito l’infezione attraverso rapporti eterosessuali (45%) e tra gli uomini che hanno avuto rapporti sessuali con uomini (41%). Numericamente i primi sono di più, seppure l’incidenza sia più alta tra i secondi.
“Non bisogna commettere l’errore di settorializzare l’HIV come una malattia di genere o di gruppi – spiega il Prof. Andrea Antinori, Coordinatore di ICAR, Direttore UOC Immunodeficienze virali, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, IRCCS, Roma – perché negli scorsi decenni questo errore ha creato un profondo stigma, determinando problemi sociali e culturali. Si tratta di un virus che non guarda in faccia se sei un uomo che ha avuto rapporti sessuali a rischio con uomini o se, uomo o donna, hai avuto rapporti eterosessuali a rischio, ma che colpisce uomini e donne semplicemente sessualmente attivi. Nessuno può sentirsi al riparo, sia il giovane ventenne che ha avuto rapporti sessuali con uomini, sia uomini e donne oltre i 50 anni con rapporti eterosessuali. E’ soprattutto una questione di comportamenti a rischio”. La terapia funziona, la mortalità si è ridotta drasticamente (negli USA, 2.1 per 100.000 abitanti) e continua a diminuire negli ultimi anni, anche se la sopravvivenza di una persona con HIV oggi non è ancora comparabile a quella di una persona sieronegativa di pari età e fattori di rischio. Con la terapia precoce ci si ammala di AIDS raramente (meno del 2%), ma dall’HIV non si guarisce. Con il virus ci si convive, ma le ripercussioni saranno comunque rilevanti sia da un punto di vista fisico, che da un punto dei rischi correlati a patologie concomitanti.
“Oggi in Italia circa l’80% delle persone viventi con HIV è in cura, – aggiunge il Prof. Antinori – una percentuale alta ma ancora insufficiente, se consideriamo che ancora il 20% della popolazione infetta o non è in cura o non sa di avere l’infezione. La prospettiva di vita per i pazienti in trattamento, è nettamente cambiata, con una qualità di vita maggiore e con una migliore performance psicofisica. Indubbio anche il miglioramento sul piano clinico, soprattutto se il paziente ha scoperto la diagnosi in una fase precoce. I miglioramenti delle terapie, rispetto a vent’anni fa, si registrano soprattutto a livello gastrointestinale e cutaneo. E anche la lipodistrofia è considerata oggi molto rara. Il profilo di tollerabilità per i nuovi farmaci è indubbiamente migliorato, ma una simile terapia cronica, che dura decenni, avrà ovviamente effetti collaterali”.
Tra gli effetti collaterali della terapia, i principali sono di tipo gastrointestinale (nausea, diarrea) o neuropsicologico (disturbi del sonno, ansia). Possono anche verificarsi problematiche di carattere metabolico (aumento dei lipidi nel sangue), eruzioni cutanee, alterazioni renali, osteoporosi. Possono anche esserci disturbi aspecifici, non collegati direttamente alla malattia.”La popolazione con HIV – dichiara il Prof. Andrea Antinori – è una popolazione destinata ad invecchiare con la malattia e con la terapia, che oggi è ancora necessario somministrare per tutta la vita. Tutte le problematiche legate all’età sono accelerate durante l’invecchiamento, con una maggiore e prematura incidenza di patologie quali osteoporosi, malattie cardiovascolari e renali. Questo comporterà la necessità di una ulteriore somministrazione di farmaci per affrontare comorbliità e malattie legate all’età. Il paziente con HIV, insomma, è ancora più fragile rispetto a chi non è portatore di questa infezione”.
I costi della malattia non sono facili da stimare: una terapia antiretrovirale costa circa 7mila euro l’anno. Ma ci sono anche altre spese, come quelle relative ad ospedalizzazioni e medicalizzazioni. Parliamo quindi di visite ambulatoriali, esami diagnostici di monitoraggio, eventuali complicanze. Ovviamente ci sono anche delle ulteriori conseguenze da un punto di vista sociale, i cosiddetti costi indiretti, come la perdita di giornate di lavoro per il trattamento e altre conseguenze tipiche di altre malattie croniche.