“Un’ora e mezzo di confronto”, dice Salvini ai cronisti elencando gli argomenti trattati. Riforma del fisco, della giustizia, referendum. Scuola, Europa, banche, disabilità. Un confronto a 360 gradi. “Abbiamo perso di vista l’orologio” aggiunge il leader leghista. Dicendo di aver parlato di “tanto, se non di tutto”. Dal colloquio è emersa “una sostanziale condivisione per tutto quello che il governo ha fatto in questi tre mesi”. Non ha badato a spese, Salvini, nel descrivere il giudizio sull’esecutivo guidato dall’ex numero uno della Bce.
“Noi siamo contentissimi di quello che Draghi, Figliuolo e la squadra di governo sta facendo per il paese. I tempi di Conte, Casalino e Arcuri, per fortuna, sono lontani. Più siamo uniti per accompagnare la crescita, meglio è. Stiamo dando agli italiani ottimi risultati”. Parola d’ordine: unità, per il bene del paese. “Il covid insegna che uniti si vince, gli italiani uniti hanno vinto questa battaglia. Io penso che anche la politica abbia il dovere di unirsi, per perdere meno tempo”.
Dietro l’ufficialità, però, c’è il tema della federazione di centrodestra e dei suoi obiettivi. Sul quale Salvini vuole accelerare. Anche se, visti gli ostacoli di una parte di Forza Italia che non vuole morire leghista, si affretta a ribadire che non si tratta di fusione. Ma della necessità di ricompattare i ranghi del centrodestra. Per avere una voce unica e sveltire la prassi parlamentare. È costretto ad ammettere che no, “la svolta non è ancora matura”. Lo stop è imposto innanzitutto dai governisti di Forza Italia. E in particolare dalle ministre azzurre, assai vicine a Mario Draghi, sostenitrici dello schema politico che ha portato alla nascita dell’attuale esecutivo.
E’ questo il contorno politico dell’incontro tra il presidente del Consiglio e Salvini. E poco importa se davvero – come sostiene il leghista – non si sia parlato della federazione. O se, invece, il numero uno della Lega non abbia indicato nelle dirigenti azzurre il primo freno al progetto unitario. Di certo, sono loro a esporsi pubblicamente nel pomeriggio. La prima è Maria Stella Gelmini: “Una decisione come quella di federarci con la Lega – sostiene la ministra degli Affari regionali – non può essere il frutto di un’operazione fulminea, ma deve essere discussa nel partito. Ho forti perplessità”.
Di più: “Penso che la storia, i valori e l’identità di FI vadano difesi e rilanciati, non annacquati in soggetti nuovi o in eventuali fusioni a freddo”. Anche Mara Carfagna picchia duro: “Una federazione non si fa attraverso un blitz, perché i blitz si fanno quando si vuole nascondere qualcosa. Non vorrei fosse il sogno di chi vuole trasformare Forza Italia in Forza Lega. Nemmeno io ho capito cosa sia la federazione, nessuno me l’ha spiegato”.
E dire che il piano di Salvini era ben altro, alla vigilia. Lo aveva spiegato ai suoi dirigenti, riservatamente. Senza tenere in considerazione l’effetto deflagrante sugli equilibri della maggioranza – già attraversata dal perenne conflitto tra Lega e Partito democratico – intendeva comunicare al premier di avere in mano qualcosa che altri non hanno: numeri determinanti, da azionista di maggioranza della larga coalizione di unità nazionale.
Con il Movimento ridimensionato infatti da mille scissioni – e con un Pd che sconta in termini di seggi parlamentari lo scarno 17% delle Politiche 2018 – il leader della Lega intendeva far presente – anche se con “spirito di massima collaborazione” – le conseguenze del nuovo corso. E cioé che il patto tra Carroccio e FI consegna al regista dell’operazione – dunque a Salvini – la golden share politica dell’esecutivo. Grazie anche a gruppi parlamentari talmente folti da rendere la federazione il primo partner della maggioranza e, in prospettiva, il playmaker per l’elezione del nuovo capo dello Stato.
Finisce invece che al termine del colloquio è lo stesso Salvini a rimangiarsi il progetto, almeno in pubblico: “Abbiamo parlato della riforma del fisco – elenca – di come tagliare le tasse, della riforma della giustizia. Ho spiegato il senso dei referendum e di come raccoglieremo le firme. Di riforma della pubblica amministrazione, di scuola, immigrazione, Europa, banche, disabilità”. Da Palazzo Chigi, nel frattempo, si definisce l’incontro “cordiale” e si fa presente che nel corso del faccia a faccia si è discusso della situazione economica del Paese – “che è in ripresa” – e delle riforme.
“La politica deve essere più concreta, rapida, io vado avanti con questa proposta”, dice ancora sul progetto federativo del centrodestra di governo. Anche se nega di aver parlato con Draghi di questo. “Col presidente del Consiglio parlo di Italia, non di partiti”, risponde ai giornalisti che lo incalzano.
Assoluta sintonia sui temi economici. A partire dal blocco dei licenziamenti. “Ci sono settori che corrono e hanno bisogno di assumere e non di licenziare. Penso all’industria, penso all’edilizia”, dice Salvini. “Devono tornare a essere liberi di agire sul mercato, altri settori, come il turismo, avranno il tempo di riorganizzarsi fino a ottobre, con l’obiettivo di una estate da boom economico”. Anche sul terreno minato dell’immigrazione sarebbe tutto sotto controllo. “L’Italia non può essere lasciata sola, trattata come campo profughi d’Europa. La condivisione tra paesi europei e africani è fondamentale, da questo punto di vista, con il presidente Draghi siamo in linea, d’accordo”.