In campagna elettorale “ci saremmo aspettati” un interessamento da parte dei partiti e delle coalizioni “ma non c’è stata alcun un programma serio di salvataggio della sanità pubblica”. E’ l’amara constatazione del presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che avviando i lavori della conferenza nazionale a Bologna, ha presentato un “piano di salvataggio” in 12 punti. Secondo le stime della Fondazione Gimbe, nel 2025 serviranno almeno 210 miliardi di euro per mantenere il servizio sanitario nazionale, parti a una spesa pro-capite di 3.500 euro. Si tratta, secondo i tecnici della fondazione, di “stime prudenziali” perché una cifra “inferiore alla media Ocse del 2013”. Rispetto ai 150 miliardi di spesa del 2016 – spiegano da Gimbe – stando alle precisioni attuali d’incremento di spesa pubblica e di spesa privata e al potenziale recupero da sprechi e inefficienze, rimane indispensabile un forte rilancio del finanziamento pubblico per raggiungere questa cifra. “Questi dati – ha spiegato Cartabellotta – seppure non devono essere letti come la conseguenza di un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del Ssn, testimoniano indubbiamente l’assenza di un preciso programma politico per il suo salvataggio, confermata anche dalla recente analisi dei programmi elettorali che abbiamo condotto”.
“Davanti a tinte così fosche per il futuro della sanità pubblica – ha proseguito Cartabellotta – dal nostro monitoraggio dei programmi elettorali emerge che nessun partito ha predisposto un piano per tutelare il Ssn intervenendo sulle principali determinanti della crisi di sostenibilità” che il presidente della Fondazione Gimbe ha elencato nella sua relazione: dal “definanziamento” al “‘paniere’ Lea troppo ampio”, dagli “sprechi e inefficienze alla deregulation della sanità integrativa”, alle “diseguaglianze regionali e locali”. Per questo “considerato che non potrà essere il futuro a prendersi cura del Ssn” serve un “piano nazionale, perché c’è una consistente quota di risorse che non genera miglioramenti nella sanità e quindi produce uno spreco. I margini di efficientamento ci sono, soprattutto in alcune regioni”.