Save the Children: “Asilo nido pubblico solo per un bambino su 10”

Le disuguaglianze tra i bambini, per quanto riguarda l’acquisizione di capacità e competenze, si formano già nei primissimi anni di vita, ben prima dell’ingresso a scuola. Non si tratta, tuttavia, di disuguaglianze inevitabili: frequentare l’asilo nido, così come trascorrere del tempo di qualità con i propri genitori, si dimostra un fattore determinante in grado di ridurre il gap. Eppure, in Italia, solo 1 bambino su 10 può accedere a un asilo nido pubblico, con picchi negativi che si registrano in regioni come Calabria e Campania, dove la copertura è pressoché assente e, rispettivamente, solo il 2,6% e il 3,6% dei bambini frequenta un nido pubblico. Uno scenario in cui le ripercussioni negative riguardano soprattutto i minori provenienti da famiglie economicamente svantaggiate e che hanno dunque maggiori difficoltà nell’accedere alla rete degli asili privati non convenzionati. È quanto emerge dal rapporto ‘Il miglior inizio – Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita’ diffuso da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – in concomitanza con l’inizio dell’anno scolastico nel nostro Paese. Il rapporto contiene i risultati di una indagine pilota condotta tra marzo e giugno 2019 in 10 città e province italiane – Brindisi, Macerata, Milano, Napoli, Palermo, Prato, Reggio Emilia, Roma, Salerno e Trieste – realizzata in collaborazione con il Centro per la Salute del Bambino, che ha anche fornito una supervisione scientifica insieme all’Istituto degli Innocenti e all’Università di Macerata. L’indagine, di carattere esplorativo, ha coinvolto direttamente 653 bambini di età compresa tra 3 anni e mezzo e 4 anni e mezzo, ai quali, nell’ambito di incontri individuali a scuola con educatori appositamente formati, sono stati sottoposti i quesiti dello strumento IDELA (International Development and Early Learning Assessment), sviluppato da Save the Children International nel 2014 e utilizzato in più di 40 Paesi al mondo, che opera una valutazione su quattro aree di sviluppo: fisico-motorio, linguistico, matematico e socio-emozionale. La valutazione, in particolare, avviene attraverso compiti e giochi, quali ad esempio identificare una lettera o un numero o fare dei raffronti e delle misurazioni. Sono stati inoltre analizzati 627 questionari compilati dai genitori dei bambini coinvolti.

I bambini che hanno frequentato l’asilo nido – mettono in evidenza i risultati della ricerca – hanno risposto in maniera appropriata a circa il 47% dei quesiti proposti a fronte del 41,6% di quelli che hanno frequentato servizi integrativi, che sono andati in anticipo alla scuola dell’infanzia o che sono rimasti a casa e non hanno quindi usufruito di alcun servizio. Una differenza che si fa ancor più marcata per i minori provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico. Tra questi, infatti, coloro che sono andati al nido hanno reagito appropriatamente al 44% delle domande contro il 38% dei bambini che non lo hanno frequentato. Per quanto riguarda l’ambito matematico, ad esempio, i bambini tra i tre anni e mezzo e i quattro anni e mezzo in condizioni di svantaggio socio-economico che non hanno riconosciuto alcun numero sono stati il 44% tra coloro che sono andati al nido, percentuale che arriva al 50% per i bambini che non lo hanno frequentato. Allo stesso modo, se più del 14% dei bambini che hanno frequentato il nido riconosce tra 6 e 10 numeri, la percentuale scende al 9,6% per chi non ci è andato. Inoltre, l’indagine dice che i bambini in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido riconoscono più lettere rispetto agli altri: quasi il 25% dei primi, infatti, ha riconosciuto tra 1 e 5 lettere a fronte di quasi il 20% di quelli che non hanno frequentato il nido. Determinante per prevenire la povertà educativa, dall’indagine di Save the Children, risulta essere la durata della frequenza dell’asilo nido. I bambini appartenenti a famiglie in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido per tre anni, infatti, hanno risposto appropriatamente al 50% delle domande, a fronte del 42,5% per coloro la cui frequenza è stata tra i 12 e i 24 mesi e del 38% per un solo anno o meno (una percentuale del tutto simile a quella di chi non ha frequentato il nido). I dati sulla copertura dei servizi per la prima infanzia dicono che l’Italia è ancora molto lontana dal target stabilito dall’Unione europea di garantire ad almeno il 33% dei bambini tra 0 e 3 anni l’accesso al nido o ai servizi integrativi. Nel nostro Paese, infatti, solo 1 bambino su 4 (il 24%) ha accesso al nido o a servizi integrativi per l’infanzia e, di questi, solo la metà (12,3%) frequenta un asilo pubblico. Copertura garantita dal servizio pubblico che è quasi assente in regioni come Calabria (2,6%) e Campania (3,6%), seguite da Puglia e Sicilia con il 5,9%, a fronte delle più virtuose Valle d’Aosta (28%), Provincia autonoma di Trento (26,7%), Emilia Romagna (26,6%) e Toscana (19,6%) . Risultati decisamente migliori riguardano invece l’accesso alla scuola dell’infanzia, che in Italia accoglie il 92,6% dei bambini dai 3 ai 6 anni, superando pertanto l’obiettivo europeo del 90% di copertura. ‘Ciò conferma quanto sia importante investire nei servizi socio-educativi per la prima infanzia di qualità, accessibili a tutti i bambini, al fine di ridurre le disuguaglianze educative che emergono sin dai primi anni di vita. Un obiettivo che in Italia va perseguito aumentando in particolare la disponibilità di posti e la copertura territoriale per i bambini fino ai 3 anni, riducendo i costi a carico delle famiglie e adottando criteri d’accesso che ne consentano la fruizione anche ai bambini con genitori in condizioni particolarmente svantaggiate’, ha affermato Raffaela Milano.

Un dato che emerge dall’indagine, e che conferma precedenti studi sul tema, è che una mamma lavoratrice rappresenta un fattore di protezione rispetto alla povertà educativa, in particolare per i bambini che vivono in un contesto di disagio socio-economico. Secondo i risultati della ricerca, infatti, i bambini con madre disoccupata o che si dedica a un lavoro di cura non retribuito rispondono rispettivamente in modo appropriato al 38,4% e al 43,1% dei quesiti. Una percentuale notevolmente inferiore rispetto a quella dei bambini la cui madre svolge un lavoro manuale (48%), un lavoro da impiegata (51%) o da dirigente, imprenditrice o libera professionista (55%). L’occupazione delle mamme non rappresenta dunque un fattore di svantaggio per i bambini in termini di povertà educativa. È la qualità del tempo che i genitori trascorrono con i propri figli ad incidere invece in modo significativo sulla loro crescita educativa, tempo passato insieme per svolgere attività come la lettura condivisa, la musica e i giochi all’aperto. A questo proposito, tra i genitori intervistati nell’ambito dell’indagine di Save the Children, quasi 7 su 10 hanno affermato di leggere un libro con il proprio bambino almeno alcune volte a settimana, quasi 1 su 4 (22%) tutti i giorni, mentre 1 su 10 ha detto di non farlo quasi mai. Più di 8 genitori su 10, inoltre, dicono di svolgere attività musicali con i loro figli o di giocare con loro all’aperto almeno una o due volte alla settimana. Dalla ricerca emerge che i bambini provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico, ma che leggono almeno due volte a settimana libri per l’infanzia con i genitori, rispondono in modo appropriato al 42% delle domande, a fronte del 36,8% di quelli che non leggono quasi mai con la propria mamma o papà. Differenze che risultano significative in ciascun ambito dell’indagine: in lettura e scrittura, e in matematica e problem solving, il gap è di circa 5 punti, mentre per quanto riguarda l’ambito fisico-motorio e socio-emozionale la differenza supera rispettivamente i 7 e gli 8 punti. Percentuali identiche si registrano per i minori svantaggiati che fanno attività all’aperto con i propri genitori (42% di risposte appropriate) rispetto ai propri coetanei nelle stesse condizioni che le svolgono solo poche volte durante l’anno (36,8%), con differenze presenti in ciascuno degli ambiti dell’indagine: fisico-motorio il 41,6% contro il 31,1%, matematico il 42,4% contro il 37,5%, lettura e scrittura il 35,2% contro il 27,7% e socio-emozionale il 41,1% rispetto al 31,1%. ‘Al pari dell’asilo nido, la qualità del tempo che i genitori dedicano ai figli fa effettivamente la differenza nel contrasto alla povertà educativa. Nella cura di un bambino, sin dai primi mesi di vita, non va mai persa di vista – oltre all’accudimento e alla soddisfazione dei bisogni primari – la dimensione dello sviluppo relazionale e intellettivo con attività semplici e fondamentali come quella di leggere, cantare o giocare all’aria aperta. È una evidenza scientifica ma, purtroppo, ancora oggi poco considerata nella pratica’, ha proseguito Raffaela Milano.

L’indagine offre infine spunti per quanto riguarda le differenze di genere. Le bambine hanno ottenuto risultati più soddisfacenti (3 punti in più in media) rispetto ai loro coetanei maschi in tutti gli ambiti di indagine. Colpisce, in particolare, il fatto che le competenze di bambini e bambine si equivalgano in ambito matematico. Le rilevazioni sulle competenze matematiche in adolescenza, come i test Pisa, mettono in luce uno scarto consistente nelle competenze in matematica in favore dei ragazzi quindicenni rispetto alle loro coetanee, un divario particolarmente accentuato in Italia rispetto agli altri paesi Ocse. Se messo a confronto con i risultati di questa indagine pilota, il dato può suggerire che le diseguaglianze di genere nell’apprendimento delle discipline scientifiche inizino a formarsi proprio nel periodo della scuola dell’obbligo, o addirittura prima, annullando così il ‘vantaggio di apprendimento’ che le bambine hanno nelle altre aree di valutazione. In ogni caso le differenze tendono ad accentuarsi nel tempo, ad ulteriore conferma della necessità di prevenire il diffondersi di stereotipi di genere all’interno del mondo scuola e di promuovere interventi mirati a superare il gap e a promuovere l’ingresso delle ragazze negli studi e nelle professioni scientifiche.

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