Sono state rese note le motivazioni della sentenza di primo grado dai giudici di Milano, che hanno condannato l’ex premier a un anno per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo quanto è emerso Berlusconi “decise sul nastro in qualità di capo del Pdl”. Il Cavaliere ascoltò la telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte nella quale l’allora presidente di Unipol informava l’ex leader dei Ds della tentata scalata di Bnl a Unipol. Questo è quanto sostengono i giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano nelle 90 pagine di motivazione al verdetto. “Quella sera la registrazione audio venne ascoltata attraverso il computer, senza alcun addormentamento da parte di Silvio Berlusconi, o inceppamento del pc”, hanno sentenziato i giudici. E “la qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata”.
I giudici di Milano sottolineano “il ruolo precipuo del premier” in relazione a quanto avrebbe potuto incidere politicamente quella conversazione “Deve ritenersi – scrivono ancora i giudici – che Berlusconi abbia ricevuto quella sera a casa sua, ad Arcore, la visita di Favata e Petessi (coloro i quali gli portarono materialmente il nastro registrato), insieme col fratello, essendo ben consapevole del motivo per cui si svolgeva quella visita, in parte destinata a fargli sentire la famosa telefonata, nella chiara prospettiva della sua pubblicazione, di peculiare interesse in quel periodo pre-elettorale, tenuto conto della già sottolineata portata politica di quella conversazione”.
“Capo della parte politica avversa”. “Il ruolo precipuo del premier – precisano i togati nella sentenza – era collegato certamente alla strenua richiesta di Raffaelli di incontrarlo per potergli presentare personalmente il suo progetto e ottenere l’appoggio, atteso che, secondo quanto lui stesso ha affermato, non avrebbe ceduto la chiavetta se non in quella occasione. Inoltre la sua qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino, rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata, non potendosi ritenere che, senza il suo assenso, quella telefonata, che era stata per altro a casa sua, fosse poi pubblicata, a prescindere dalle espressioni di soddisfazione riferite da Favata a Petessi all’epoca dei fatti”. Nella ricostruzione dei giudici, la telefonata rappresentò “un regalo di Natale” per l’allora premier. “Ritiene il tribunale – è scritto ancora nelle motivazioni – Che la vicenda in esame si sia rivelata quale emblematica espressione della spregiudicatezza con cui un incaricato di pubblico servizio, quale Raffaelli, titolare di delicatissimi compiti affidatigli dall’autorità giudiziaria, si sia reso disponibile a piegare il dovere di lealtà nei confronti della pubblica amministrazione”.
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