“Cara collega, caro collega, di concerto con l’ufficio di presidenza del gruppo, ho deciso di dare seguito al progetto di due giornate di approfondimento sull’agenda politica dei prossimi mesi e in vista delle elezioni Europee”. Così nella lettera di convocazione della capogruppo alla Camera, Chiara Braga, ai parlamentari. Un conclave in piena regola, neppure troppo originale, visto che ripropone il format di ben più blasonati seminari inaugurati da D’Alema e poi ‘istituzionalizzati’ Prodi negli anni d’oro dell’Ulivo.
Un seminario di due giorni sui grandi temi internazionali e le prossime elezioni europee: utile per prendere tempo. Quando, come in casa Pd, non si hanno idee chiare su strategie, alleanze né candidature. Se poi la location è un gioiellino come il convento, “sapientemente” ristrutturato dei frati cappuccini di Gubbio l’atmosfera è assicurata. In perfetto stile prodiano. Deve aver pensato così Elly Schlein quando ha immaginato l’incontro a porte chiuse dei prossimi 18 e 19 gennaio.
La Leopolda del Pd si terrà nel Park Hotel ai Cappuccini, “splendido edificio – si legge sul sito web – che, insieme alle comunità religiose che fin dalla sua costruzione l’hanno abitato, appartengono alla storia di Gubbio”. Non solo la dirigenza dem, in crisi di identità, a Gubbio ci saranno anche esperti ed ospiti. Ma non Romano Prodi, impegnato all’estero, dicono dallo staff del Professore. Fu proprio lui, da premier, a riunire in passato dirigenti e ministri in abbazie, antiche dimore e persino alla reggia di Caserta. Dopo il professore di Bologna lo stesso schema è stato scelto da Pierluigi Bersani e Enrico Letta segretari Pd. Non da Matteo Renzi affezionato alla sua Leopolda.
Spetta a Massimo D’Alema il ruolo di apripista. Fu il primo ad organizzare un ritiro aperto a tutte le anime della sinistra, il 9 dicembre del 1995 nella Certosa di Pontignano, sulle colline senesi. Nel 1997 fu la volta di Gargonza: nel frantoio del castello medievale. Presente al conclave nella cittadella fortificata buona parte del governo di Prodi, insieme a studiosi e intellettuali, come Umberto Eco, Pietro Scoppola e Paolo Flores D’Arcais. E ospiti come Maurizio Costanzo con il compito di elaborare le ‘Dieci idee per l’Ulivo’. Tra i relatori anche il futuro presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ai tempi dell’Unione nel 2006 torna il conclave sempre con Prodi premier. Che organizza un seminario tra i ministri del suo governo nella secentesca Villa Donini di San Martino in Campo, in Umbria. L’anno successivo, l’11 e il 12 gennaio del 2007, fu la volta della riunione di governo alla Reggia di Caserta con tutti i ministri e i leader dei partiti della ampia e litigiosa coalizione di maggioranza. Ovviamente a porte chiuse, blindatissima. proprio come il seminario voluto da Elly. Ultima in ordine di tempo è la riunione che organizzò Nicola Zingaretti da segretario dem nel 2020 all’abbazia di San Marco Pastore di Contigliano, in provincia di Rieti.
“L’idea – si legge nella lettera di invito riservata solo a deputati e deputate – è quella di una forma seminariale con ospiti e specialisti esterni e momenti di confronto”. A una settimana dall’evento è ancora top secret sulla scaletta, gli ordini del giorno e il programma. “Per ora abbiamo individuato il luogo, Gubbio, presso il Park Hotel ai Cappuccini”. Il resto si vedrà. Work in progress, proprio come l’identità e la mission politica del partito guidato da Schlein, in debito d’ossigeno. Un movimento quasi senza voce se si escludono le urla stonate contro il pericolo fascista che si anniderebbe tra le file del governo Meloni.
Recentemente, Pierluigi Bersani, un tempo leader apprezzato per la sua bonomia, con la sua apparizione televisiva a “Otto e mezzo” ha sollevato controversie, soprattutto per le sue dichiarazioni riguardanti la destra italiana e il terrorismo.
Bersani, affrontando il tema di Acca Larentia, ha lasciato intendere che l’atteggiamento della destra potrebbe riaprire le porte a un terrorismo di matrice rossa. Ha criticato il governo, in particolare la Meloni, per non aver condannato una manifestazione in memoria di tre ragazzi uccisi. Secondo Bersani, questa mancanza di condanna potrebbe spingere “qualche matto” ad agire autonomamente, alludendo a rischi di violenza simili a quelli vissuti negli anni di piombo.
Bersani, conosciuto per la sua responsabilità, sembra quasi evocare l’arrivo di “qualche matto”, secondo un parallelismo preoccupante con gli anni di piombo. Questo periodo fu segnato da un antifascismo militante che giustificò violenze estreme, come quelle di via Acca Larentia. La sua affermazione sembra un richiamo a una militanza politica ormai obsoleta, trasformando la sinistra in una forza alla “caccia del nemico”.
La retorica di Bersani rischia di evocare un periodo buio della storia italiana. In quel tempo, gli estremisti rossi, nel nome dell’antifascismo, commisero atti di violenza estrema. La stessa furia omicida si rivolse poi contro il Pci, come dimostra la lotta finale delle Brigate Rosse. Bersani, evocando questi fantasmi, potrebbe involontariamente istigare a un nuovo tipo di terrorismo rosso.
Infine, è fondamentale che la sinistra mantenga un atteggiamento responsabile, evitando di alimentare paure infondate di un fascismo inesistente. Bersani, con la sua esperienza e saggezza, dovrebbe evitare di trasformarsi in un istigatore involontario, riscoprendo la sua antica bonomia. È essenziale che eviti di dare spazio a interpretazioni pericolose che potrebbero alimentare tensioni e divisioni in un contesto già fragile.
In conclusione, le recenti dichiarazioni di Bersani suonano come un campanello d’allarme per tutti. È imperativo che i leader politici agiscano con cautela, consapevoli dell’impatto che le loro parole possono avere in una società complessa e variegata come quella italiana. La storia deve insegnarci a evitare gli errori del passato, favorendo un dialogo costruttivo e responsabile, lontano dalle ombre di un periodo che nessuno desidera rivivere.
In realtà la problematica reale non risiede nell’evocazione del fascismo, che è morto e sepolto, o nel terrorismo evocato e poi smentito, ma è quella interna al sistema dei partiti e alla crescente e inarrestabile disaffezione del cittadino non tanto al voto, quanto alla stessa politica. I partiti, aggrediti dall’esterno, si sono rinchiusi in se stessi. Oggi i candidati selezionati dai cacicchi di ciascun partito sono tanti nipotini non sottoposti, ma imposti all’elettore con il meccanismo delle liste bloccate.
Le Leggi elettorali succedutesi nel tempo null’altro hanno portato che una maggiore possibilità per i capi partito di indicare praticamente tutti gli eletti. Le preferenze tanto criticate nella prima Repubblica appaiono oggi un miraggio, per consentire all’elettore di scegliere il “suo” parlamentare , tra quelli proposti da ogni singolo partito. Il nefasto taglio dei parlamentari non concede, a Costituzione vigente, altra possibilità di scelta libera, stante il ridotto numero di collegi che non consentirebbe un rapporto diretto di conoscenza e valutazione del singolo candidato. Ci rendiamo conto che i leader di partito debbano in qualche modo, anche legittimamente, tutelare alcune figure rappresentative del partito stesso. Si potrebbero semplicemente assegnare al capolista designato le preferenze non attribuite ad alcun candidato.
Siamo ben consapevoli della differenza, che sembra a volte sfuggire anche agli addetti ai lavori, tra assegnazione dei seggi a ciascun partito e la questione dell’attribuzione dei seggi all’interno di ciascuna lista elettorale. Ogni costituzionalista – ormai in Italia il numero sfiora i 60 milioni – ci illustrerà con dotte argomentazioni che un sistema di selezione degli eletti con le preferenze potrebbe non essere necessariamente legato all’attribuzione di seggi con il proporzionale. In linea teorica è vero, in concreto abbiamo tanti dubbi.