Primo giorno di lezione presso la scuola Elementare Antonelli di Torino, 14 settembre 2015 ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

Scuola Digitale, 100 milioni in piu’ per il coding

Il Piano Nazionale Scuole Digitali compie un anno. Sono state avviate oltre il 65% delle azioni previste, con 500 milioni gia’ investiti dell’1,2 miliardi stanziati. Tremila scuole cono state raggiunte dalla fibra, con 88,5 milioni di euro sono stati utilizzati per il cablaggio delle scuole; 140 milioni sono andati per la realizzazione di ambienti digitali per la didattica integrata, 58 milioni per i laboratori territoriali per l’occupabilita’, 28 milioni per aprire 1.800 atelier creativi, 7,5 milioni per le biblioteche scolastiche aperte al territorio, 4,3 milioni per i curricoli digitali. Oggi alla Reggia di Caserta si chiude la tre giorni organizzata per celebrare il primo anno del PNSD: una “festa” con 6.000 fra docenti e studenti, dove sono state raccontate le pratiche migliori e si e’ lanciato il secondo anno di attuazione del Piano. “In questo primo anno di attuazione, il Piano Nazionale Scuola Digitale ha elevato il tasso di qualità e innovazione nel nostro sistema scolastico, segnando un punto di svolta da cui non si potra’ tornare indietro” ha detto il Ministro Stefania Giannini. La tre giorni di Caserta si inserisce nella piu’ ampia “Settimana del PNSD”, che si concludera’ il 30 novembre, in cui studenti, insegnanti, presidi e innovatori sono invitati a condividere quanto fino ad ora realizzato e a lavorare per il prossimo anno di attuazione. C’è anche un concorso per ragazzi, #ilmioPNSD, al termine del quale le migliori cinque attivita’ o i migliori eventi realizzati e documentati attraverso un videoclip riceveranno un contributo da utilizzare per la realizzazione di un ambiente per la didattica digitale integrata o per la laboratorialita’ creativa. Il secondo anno intanto vedra’ uno stanziamento aggiuntivo di 100 milioni per il rafforzamento delle competenze digitali degli studenti, 65 milioni alla scuola del primo ciclo e 35 alla secondaria di secondo grado. Ogni studente imparerà a programmare: dal prossimo anno tutte le scuole primarie avranno la possibilita’ di fare 60 ore all’anno di coding. Un passo necessario per avere tra dieci anni una popolazione di giovani italiani perfettamente alfabetizzati in quello che si chiama il nuovo pensiero critico. Ecco, dal campo, cosa sta cambiando.

Un miliardo di euro per estinguere la fame digitale di cui la scuola italiana soffriva da tempo. Il PIano Nazionale Scuola Digitale e’ stato preso letteralmente d’assalto da migliaia di scuole che pareva non aspettassero altro. Le iniziative di maggior successo sono state un bando per il wifi da 88 milioni che consentira’ complessivamente la copertura di 20.241 plessi e di 379.960 ambienti scolastici; un altro da 28 milioni per portare laboratori creativi (atelier) con stampanti 3D e tecnologie avanzate nelle scuole del primo ciclo, servito a coinvolgere finora 1.860 istituti (pari a circa un terzo del totale); uno per realizzare 500 biblioteche scolastiche innovative e digitalizzate. Il Piano non ha riguardato solo le strutture, ovvero l’acquisto di computer e altre attrezzature: inutile infatti avere reti velocissime e laboratori degni di Google se poi nessuno li sa utilizzare, o meglio, se poi le metodologie didattiche non cambiano di una virgola. Con il nuovo corso, il ministero ha scelto quindi di nominare 8mila “animatori digitali”, uno per scuola, e altri 24mila componenti dei “team dell’innovazione”, docenti che diventano responsabili per l’attuazione del Piano in ciascun istituto, incaricandosi di istruire i colleghi secondo un modello di formazione tra pari. “Il digital divide della scuola italiana rispetto a quella europea e’ stato stimato dall’Ocse in piu’ di 15 anni”, osserva Paolo Ferri, docente di Didattica e Pedagogia Speciale all’universita’ di Milano Bicocca. Ma bisogna dire che il Piano scuola digitale pone le basi per colmare questo divario, attraverso finanziamenti reali e un profondo cambiamento di mentalità: meno hardware, e quindi meno favori alle aziende produttrici, e piu’ investimenti sulla banda, sulle persone e sulla formazione. Le tecnologie devono essere messe al servizio dell’apprendimento degli studenti e della metodologia innovativa degli insegnanti, e non viceversa. Ecco dunque la vera novità: l’introduzione di un nuovo approccio didattico e metodologico, come spiega il professor Luca Piergiovanni, docente di Lettere all’Istituto Comprensivo di Valmorea, provincia di Como, ed esperto di tecnologie per l’apprendimento, nonche’ membro del Tavolo tecnico ministeriale che ha materialmente redatto il Piano Nazionale. In un progetto che ho seguito personalmente nelle province di Como e Varese, per esempio, i social media sono stati utilizzati per insegnare italiano con il metodo TwLetteratura: una comunita’ di studenti sceglie un libro, lo legge e lo commenta, un capitolo alla volta, in base a un calendario condiviso, “riscrivendolo” su Twitter sotto forma di parafrasi, variazione, commento, libera interpretazione. Alla fine del processo si arriva a un tweetbook, ma soprattutto si stimola l’amore per la lettura e si impara la scrittura sintetica.

Nuovi scenari, una didattica lontana anni luce dalla cattedra sulla predella, la classe in silenzio di fronte e l’insegnante di spalle che scrive col gesso, ma la rivoluzione che in alcune scuole deve ancora arrivare in altre e’ gia’ realta’, e i risultati la premiano. E’ il caso dell’Istituto Tecnico Tecnologico Volta di Perugia, che nel 2010 era stato tra le 156 scuole italiane ad aver partecipato al bando sperimentale Cl@ssi 2.0, introducendo strumenti come il registro online e alcuni testi su tablet; innovazioni che sono poi proseguite nel tempo, portando il numero di studenti dai 750 di sei anni fa agli attuali 1650, al ritmo di 350 nuovi iscritti l’anno. “Dal 2017 saremo costretti a introdurre il numero chiuso”, commenta la dirigente, professoressa Rita Coccia. Ma di passi avanti questa vera e propria “smartschool” ne ha gia’ fatti parecchi: abolite le classi tradizionali, l’edificio ha adibito un’ala alla parte “comunicazione” e un’altra alla branca scientifica: qui si trovano le aule dedicate alle varie materie in cui gli studenti si spostano al cambio dell’ora. Abolita la metodologia frontale, ogni docente ha in comodato d’uso un iPad e un proiettore interattivo, i ragazzi dispongono di soli quattro libri cartacei e di iPad mini; la nostra connessione e’ da 200 mega con 36 access point che agganciano il ragazzo quando si sposta. Non solo. Sono partite le flip class (lezioni che comprendono una spiegazione sommaria da parte del docente, seguita dal caricamento dei materiali in una piattaforma online a cui gli studenti accedono e il giorno seguente ne discutono per approfondire) e i web quest (lancio di un argomento e dei relativi supporti bibliografici, che poi i ragazzi devono utilizzare per studiarlo e presentarlo in classe agli altri, ovviamente col computer), tutto all’insegna del cooperative learning, che non e’ semplice lavoro di gruppo ma ricerca comune del sapere, come spiega ancora la professoressa Coccia. Certo, un cambiamento di questa portata nella scuola italiana (dove, e’ bene ricordarlo, un istituto su due non ha ancora internet nelle classi) non e’ indolore, e soprattutto si fa solo se si e’ tutti convinti, insegnanti in primis. E proprio qui sta una delle chiavi del successo dell’intero Piano. Spiega ancora il professor Ferri: “Con gli animatori digitali e i team per l’innovazione finisce il volontariato scientifico-tecnico e finalmente si esce, per legge, dal nozionismo stile Invalsi. Speriamo che tutti accettino la sfida”.

Circa Luca Teolato

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