ROMA. A scuola come in spiaggia: shorts, infradito, minigonne, canotte. E i presidi dicono no. Con l’arrivo della stagione estiva è riscoppiata la ‘guerra’ tra i dirigenti scolastici che chiedono un abbigliamento ‘consono e rispettoso’ delle aule scolastiche e i ragazzi che, anche con proteste e sit-in, rivendicano il diritto di vestirsi come vogliono. La premessa d’obbligo è che non esiste in questo senso una circolare del Miur che stabilisca il dress code per frequentare le lezioni ma in base al principio dell’autonomia ogni scuola può scrivere il suo regolamento. Che, a sentire la maggioranza dei presidi, non contempla bermuda, mini abiti, jeans a vita bassa che fanno intravedere gli slip o con i buchi così grandi da sembrare residuati bellici. Il tema, spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, rientra tra quegli argomenti solo apparentemente futili. Credo che a scuola, come in tutti i luoghi istituzionali, sia necessario un certo decoro minimo che dovrebbe essere stabilito nel regolamento d’istituto che, a sua volta, dovrebbe essere approvato democraticamente e cioè con la partecipazione di tutte le componenti, anche degli studenti. Senza regole, sottolinea Giannelli, si scade nell’anarchia e nella sopraffazione, se vogliamo che le scuole siano un luogo caratterizzato dal rispetto reciproco per tutti, non possiamo accettare che siano frequentate con un vestiario da stabilimento balneare.
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