Si è tenuto a Cagliari il XVI Congresso Nazionale SIMSPe-Onlus/L’Agorà Penitenziaria 2015: “Se il Paziente è anche Detenuto”, con la presenza di 250 specialisti. Il tradizionale appuntamento di approfondimento è organizzato e presieduto da Sergio Babudieri, Professore di Malattie Infettive all’Università di Sassari nonché Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe). Molti gli argomenti trattati perché si è parlato di emergenze cardiologiche e di “Sex Offender”, tra punizione e risocializzazione, nonché di rischio clinico e responsabilità degli operatori sanitari penitenziari, di gestione dello stress e del malessere organizzativo in carcere. “Il titolo “Se il Paziente è anche Detenuto” è già eloquente – spiega il Prof. Sergio Babudieri, Coordinatore Scientifico del Congresso e Presidente della SIMSPe – Si tratta di un richiamo per tutta la nostra categoria di medici, ma anche per infermieri, operatori sanitari, agenti di polizia penitenziaria che operano all’interno dei 199 istituti penitenziari italiani, che deve ricordare che stiamo parlando di pazienti. Sono detenuti, ma in primo luogo sono dei pazienti. La peculiarità della medicina penitenziaria è che anche le persone che sono sane ricadono sotta la giusrisdizione del magistrato di sorveglianza che ha la responsabilità della loro salute; peraltro, per sapere che una persona non è malata è necessario comunque un atto medico. Quindi stiamo parlando di 60mila persone giornalmente in carcere e di circa 100-110mila che sono transitate nel sistema penitenziario italiano nel corso di ogni anno: una popolazione simile ad una media città italiana che ha una serie di forti esigenze in tema di salute”. “La SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali – dichiara Massimo Andreoni, Professore di Malattie Infettive, Università di Roma “Tor Vergata” e Presidente SIMIT – è molto interessata al prossimo convegno nazionale di medicina penitenziaria in quanto ritiene che le istituzioni nel mondo carcerario rappresentano una priorità. Recenti studi condotti in merito, infatti, dimostrano come la percentuale di detenuti con infezioni da virus epatitici, dal virus dell’AIDS e da tubercolosi sia rilevante. Inoltre, il periodo di detenzione può rappresentare un momento fondamentale sia per l’eventuale diagnosi di infezioni non riconosciute sia per avviare cicli di terapia che permettano, come nel caso dell’epatite C, di guarire dall’infezione. In tal senso, il periodo di detenzione, che rappresenta un momento drammatico per la vita del detenuto, sotto il profilo sanitario può essere funzionale sia a fini diagnostici che terapeutici per le malattie infettive in atto”. La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell’80%. La maggior parte delle carceri hanno dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale è insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario. L’assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, può risultare spesso di pessima qualità. Sono 199 gli istituti aperti, con una capienza totale di 49.493, nonostante i detenuti presenti siano 53.498, per un sovraffollamento di 4.628, che equivale ad un +8,1%. I detenuti stranieri rappresentano il 32,6% del totale, pari a 17.430, mentre le donne sono 2.309, ossia il 4,3%, di cui 1.123 sono straniere. Un dato, quello complessivo, in calo: al 31 dicembre 2013 risultavano detenute nelle carceri italiane 62.536 persone, il 4,8% in meno rispetto al 2012 (-8% sul 2010). Secondo l’indagine che sarà presentata durante il congresso dalla SIMSPe, almeno una patologia è presente nel 60-80% dei casi. Questo significa che almeno due persone su tre sono malate. Tra le malattie più frequenti, proprio quelle infettive, che interessano il 48% dei presenti. A seguire i disturbi psichiatrici (32%), le malattie osteoarticolari (17%), quelle cardiovascolari (16%), problemi metabolici (11%) e dermatologici (10%). Una situazione che, nonostante l’appello di cui l’associazione si è fatta portavoce negli ultimi anni, non ha sortito l’effetto sperato. Gli ultimi dati sulle epatiti, infatti, hanno rilevato la presenza di un malato di questa patologia ogni tre persone residenti in carcere. In calo i sieropositivi per Hiv. “Bisogna ricordare che il paziente detenuto di oggi, è il cittadino libero di domani – chiosa il Prof. Babudieri – Tutte le informazioni di tipo scientifico ed epidemiologico, sia in Italia che all’estero, indicano sempre lo stesso punto, ossia che in carcere si concentrano persone che hanno comportamenti di vita che sono a rischio dell’acquisizione di una serie di malattie non solo infettive, ma anche di tipo metabolico, come ad esempio obesità, fumo, alcolismo; da ciò si evince evidentemente che il carcere è un ambito in cui la sanità pubblica può più facilmente intercettare persone che, una volta invece diluite nella popolazione generale, è più difficile incontrare, anche perché per il loro stile di vita spesso non hanno il bene salute nei primi posti della loro scala dei valori”. Secondo l’indagine della SIMSPe, che ha studiato i singoli casi dei detenuti che si sono sottoposti a test e controlli (circa il 56%), il tasso di trasmissione stimato dalle persone HIV+ consapevoli si aggira tra l’1.7% e il 2.4%. Molto più alto, quasi 6 volte superiore, quello stimato dalle persone HIV+ inconsapevoli, che raggiunge anche il 10%. La SIMSPe è una onlus che si occupa proprio di tutelare la salute dei detenuti. La SIMSPe è una società scientifica a livello nazionale, in cui le varie regioni danno un contributo in diversa misura. La SIMSPe elabora studi e numeri su questo tema; si occupa inoltre della formazione di infermieri, psicologi, medici che operano nei 199 istituti penitenziari italiani. Si tratta dunque di attività formative e di coordinamento dell’operatività medica in tale ambito; vengono, ad esempio, stese le linee guida per chi è affetto da HIV, da virus epatitici o da malattie sessualmente trasmissibili. Chi capisce bisogni dei singoli sono proprio medici e infermieri, seconda categoria con cui i detenuti sono in contatto dopo gli agenti, che, pertanto, vanno preparati in maniera specifica.