Cancellare i brutti ricordi di una storia d’amore? Si può, si deve, si dovrebbe? Intanto, non è più fantascienza, come sembrava nel film ‘Se mi lasci ti cancello’, interpretato da Jim Carrey e Kate Winslet. La terapia del riconsolidamento – ancora al vaglio della comunità scientifica – è stata lanciata dal professore Alain Brunet, lo psichiatra che ha curato con lo stesso trattamento i superstiti del Bataclan, nella carneficina del concerto a Parigi messa in atto dai terroristi dell’Isis. I risultati del «Paris Mem» saranno pubblicati alla fine di quest’anno.
Nel frattempo 44 canadesi con disturbi psicologici importanti, diretta conseguenza di relazioni sentimentali complicate, sono andati a bussare alla porta del docente di Psichiatria della McGill University,
a Montreal, in Canada. Hanno così iniziato un percorso di psicoterapia combinato con un farmaco: il ricordo dell’evento vissuto come luttuoso, cioè della storia d’amore finita male, fatto scrivere e leggere ai pazienti, viene affievolito grazie all’assunzione di Propranolol (un betabloccante).
I risultati sono stati incoraggianti e stanno per essere pubblicati. «Creeranno molto choc» assicura Brunet che, da parte sua, si mostra molto soddisfatto dei risultati ottenuti fin qui. Saranno comunque destinati a creare divisioni nella comunità scientifica, dove corre da sempre una frattura tra behavioristi, convinti che modificare i comportamenti sia la terapia sufficiente e rimuovere i traumi, e cognitivisti, che puntano alla comprensione profonda dell’accaduto per riuscire ad accettarlo.
Come funziona il trattamento?
“Nello stesso modo in cui viene trattato lo stress post-traumatico dei superstiti degli attentati terroristici di novembre 2015 a Parigi. Il paziente viene invitato a ricordare, per iscritto, il trauma di come ha scoperto il tradimento, come si è sentito, e poi deve leggere il resoconto sotto l’influenza del farmaco betabloccante”.
Quali sono i risultati?
“Il primo successo è che i pazienti hanno accettato di essere trattati in questo modo, volontariamente. Il trattamento è risultato molto efficace, ancor più del tradizionale approccio nei Ptsd (post-traumatic stress disorders) che prevede sei sessioni: noi abbiamo ottenuto buoni risultati in quattro-cinque sessioni. Nei 44 pazienti trattati è stata ottenuta la riduzione del 65% dei sintomi, come incubi e fobie, correlati agli eventi. Inoltre, c’è stato un calo del 30% di depressione e ansia”.
Ma è davvero necessario assumere farmaci per superare un tradimento?
“Non siamo noi analisti che possiamo decidere, è una decisione delle persone. Ad ogni modo, il farmaco allevia solo l’aspetto emotivo del ricordo, non lo cancella completamente. Trattiamo persone con una conclamata patologia che avrebbero avuto bisogno di un sostegno professionale in ogni caso. Il nostro è un aiuto specialistico come un altro”.
Non è pericoloso intervenire sulla risposta naturale della paura?
«Non c’è nulla di pericoloso nel nostro trattamento, chi lo critica non è davvero a conoscenza di come funziona la terapia. Più sai come funziona, meno la temi».
Quali sono le principali difficoltà affrontate?
«Combattere il pregiudizio che circondava il trattamento».
Che tipo di ansie e disturbi sono scomparsi nei pazienti a seguito della cura?
«Quando le persone soffrono di disordini dell’adattamento mostrano sintomi simili ai Ptsd come l’intrusione, il rigetto, la ricorsività di alcuni ricordi».
Il caso più difficile?
«Quando c’è un singolo evento ben identificabile e isolabile, il nostro lavoro è abbastanza facile. Il problema sorge quando il paziente descrive una relazione che nel complesso non funzionava bene, senza una macro-ragione. La cosa più difficile è quando i pazienti realizzano che i loro partner avevano una vita parallela, magari che si è protratta per diverso tempo: un paziente aveva figli che non erano suoi e li ha allevati per anni».
Cosa può succedere in futuro nel caso uno dei vostri pazienti sia tradito di nuovo?
«Nulla, sarebbe trattato come ogni altro paziente».
Perché il trattamento non ha funzionato con tutti i pazienti?
«Ogni trattamento ha un margine di errore. Anche l’aspirina».