Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (noti anche con la sigla abbreviata Ssri, dall’inglese selective serotonin reuptake inhibitors) sono una classe di farmaci che rientrano nell’ambito dei cosiddetti antidepressivi non triciclici. Tali farmaci vengono utilizzati di norma in psichiatria sotto forma di psicofarmaci per la terapia di psicopatologie quali il disturbo ossessivo-compulsivo o la depressione acuta in quanto, impedendo la normale ricaptazione ed eliminazione fisiologica della serotonina, sono in grado di contrastare l’eventuale deficit di questo neurotrasmettitore, riequilibrando, dal punto di vista strettamente organico, i disturbi generati dalla sua eventuale carenza. Questi farmaci non stimolano direttamente la produzione di nuova serotonina ma inibiscono il riassorbimento nel cervello da parte delle proteine della membrana pre-sinaptica (re-uptake) e la sua eliminazione nell’intestino con l’accumulo nel tempo fino al ripristino di valori normali. Nella grande maggioranza dei casi gli effetti collaterali sono di lieve entità e autolimitantesi, rientrando per lo più nell’ambito della cefalea e dei disturbi gastrointestinali. Gli effetti collaterali più frequenti sono: cefalea, nausea, perdita dell’appetito, aumento dell’appetito, insonnia, tremori, difficolta nell’iniziare un’erezione nell’uomo e l’anorgasmia nella donna). La serotonina è considerata la chiave che apre le porte al buonumore, la soluzione per la depressione, l’ormone della felicità, come siamo abituati a descriverla. Un team di ricercatori della School of Medicine della North Carolina University ora scopre un lato oscuro della serotonina che ne mette in discussione la consolidata fama: non solo sorrisi, la molecola è responsabile anche degli stati ansiosi. Il sospetto è nato osservando gli effetti collaterali di diffusissimi psicofarmaci come il Prozac: le medicine appositamente studiate per innalzare il livello della serotonina nel cervello, i cosiddetti inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri), rischiano in alcuni casi di aumentare l’ansia e addirittura alimentare pensieri suicidi. Per scoprirlo gli scienziati americani hanno condotto un esperimento sui topi. I risultati pubblicati su Nature dimostrano che il legame tra serotonina e ansia non è solamente un effetto secondario possibile, ma una condizione inevitabile. Gli scienziati hanno notato che leggere scosse elettriche inferte agli animali provocavano l’attivazione di neuroni che producono serotonina in un’area cerebrale generalmente coinvolta nei disturbi dell’umore e nella depressione, il nucleo dorsale del rafe. Aumentando in modo artificiale l’attività di questi neuroni i topi si mostravano sempre più ansiosi. I ricercatori sono stati in grado di individuare e mappare quello che hanno definito come il circuito ‘essenziale’ guidato dalla serotonina che regola la paura e l’ansia. Gli scienziati ritengono che quanto scoperto sui topi possa essere valido anche per gli umani, visto che la regione cerebrale dove agisce la serotonina è simile in entrambe le specie. Il prossimo passo sarà individuare farmaci in grado di superare gli effetti collaterali delle terapie antidepressive e la speranza è quella di poter identificare un farmaco in grado di interrompere questo circuito che le persone possano assumere nelle prime settimane di terapia con farmaci Ssri.
Naomi Sally Santangelo