Il Servizio Sanitario Nazionale è ormai al limite, e l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) ha pensato a una soluzione che difficilmente verrà accolta con entusiasmo dal 24% dei fumatori italiani. L’idea è semplice ma incisiva: aumentare di 5 euro il prezzo di ogni pacchetto di sigarette, destinando i ricavi a risanare le finanze della sanità pubblica e a prevenire migliaia di nuovi casi di tumore al polmone. Questa proposta, secondo l’Aiom, potrebbe generare fino a 13,8 miliardi di euro, una cifra cruciale per un sistema sanitario in continua difficoltà.
A leggerla e dirla sembra una boutade: mentre l’obiettivo dichiarato è ridurre il numero di fumatori, allo stesso tempo si fa affidamento sulle entrate del tabacco per rimpinguare le casse dello Stato in vista di un aumento del costo del singolo pacchetto.
Non si tratta solo di un’operazione finanziaria, ma anche di una battaglia contro il fumo, una delle principali cause di morte evitabili in Italia. Con 93.000 decessi legati al tabagismo ogni anno e un costo sociale e sanitario di oltre 26 miliardi di euro, il piano dell’Aiom è stato accolto.
La vicepresidente del Senato, Maria Domenica Castellone, ha già annunciato la presentazione di emendamenti nella prossima Legge di Bilancio per far decollare questa misura, con l’obiettivo di rafforzare il Servizio Sanitario Nazionale e sensibilizzare la popolazione, soprattutto i più giovani, sui rischi del fumo. Francesco Perrone, presidente di Aiom, è categorico: “Il fumo è la causa del 90% dei casi di tumore al polmone, pari a 40mila nuove diagnosi nel 2023”. È una battaglia contro il tabacco e contro le neoplasie, ma anche una questione economica.
Il costo delle sigarette aveva visto già un leggero aumento lo scorso aprile.
L’aumento del costo del pacchetto non è solo una misura fiscale, ma un mezzo concreto per ridurre il consumo. Come ha spiegato Silvano Gallus, dell’Istituto Mario Negri, “l’aumento del prezzo tramite aumento della tassazione è una delle più importanti strategie da attuare in un
Non solo Castellone, che ha annunciato emendamenti al decreto contro le violenze ai sanitari in discussione al Senato, ma anche volti del Partito Democratico come Beatrice Lorenzin e Marina Sereni.
Lorenzin, che già nel 2014 aveva tentato di introdurre una misura simile, ora spera che i tempi siano maturi: “Allora ci fu resistenza da parte di alcune istituzioni, ma oggi si è capito che questa è la strada giusta”. Bisognerà attendere per capire quale posizione assumerà il governo Meloni nella Manovra 2025.
Il costo delle sigarette in Europa varia notevolmente a seconda del paese. Tra i più alti troviamo l’Irlanda e la Norvegia, dove un pacchetto di sigarette Marlboro può arrivare a costare circa 13 euro. Nel Regno Unito, il prezzo si attesta intorno ai 10 euro, mentre in Germania il costo medio è di circa 7 euro.
In Francia, il prezzo si aggira sui 12-12,50 euro, mentre in Spagna è molto più basso, con un costo di circa 5,35 euro. Anche in Italia, dove il prezzo medio è intorno ai 6,20 euro per pacchetto, le sigarette risultano più economiche rispetto a molti altri paesi dell’Europa occidentale.
Se è vero che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva – ha spiegato il titolare dell’Economia – “si chiederà uno sforzo alle imprese più grandi che operano in determinati settori in cui l’utile ha beneficiato in qualche modo di condizioni favorevoli esterne affinché contribuiscano con modalità sulle quali è in corso un confronto”. Non è allo studio, chiariscono fonti del Ministero, “nessuna nuova tassazione per gli individui mentre le aziende più piccole sono già interessate al Concordato biennale preventivo. Altre eventuali interpretazioni delle parole del ministro Giorgetti sono da considerarsi forzature”.
“Non è corretto parlare di extraprofitti”, ma di “andare a tassare i profitti a chi li ha fatti: è uno sforzo che tutto il sistema paese deve fare” ha aggiunto Giorgetti che ha sottolineato il forte impegno “in un percorso particolarmente esigente di rientro. Rientreremo sotto il 3%” in termini deficit nel 2026, mentre altri come la Francia lo faranno nel 2029. “Non soltanto rispettiamo gli obiettivi che ci siamo dati, ma addirittura facciamo meglio. Ritengo che la credibilità sia fondamentale. Questo governo deve dare un messaggio di credibilità e quello che promettiamo lo facciamo”. I dati di finanza pubblica, ha precisato Giorgetti, “per quest’anno andranno meglio di come abbiamo comunicato ai mercati e alla Commissione”, visto che l’obiettivo di deficit del 4,4% “sembrava irrealistico e ora è stato aggiornato al 3,8%, quasi un unicum nel contesto europeo”.
“Continuiamo a ritenere che l’obiettivo dell’1% di crescita del Pil quest’anno sia realistico – aggiunge il titolare dell’Economia – e se non sarà l’1% sarà un dato molto molto prossimo a quel risultato”. Giorgetti ha spiegato che la previsione risale a “quando non c’era consenso su questo perché i nostri modelli econometrici, che si sono dimostrati affidabili, dimostravano questa possibilità. Oggi l’andamento conferma queste aspettative anche se è chiaro – ha aggiunto – che la situazione internazionale in qualche modo condizionerà l’economia mondiale e del nostro Paese”. In questo contesto “la manifattura, l’industria non va bene ma è più che compensata dai servizi. E al momento l’Italia fa meglio di altri in Europa”. A scanso di equivoci, letture a senso unico e titoloni a effetto, il sottosegretario al Mef Federico Freni, interpellato in Transatlantico, ha invitato a sentire “esattamente le parole del ministro Giorgetti: non c’è allo studio nessun aumento delle tasse per nessuno. Le nuove tasse – ha aggiunto – non fanno parte del Dna di questo governo, lo abbiamo detto due anni fa e lo ribadiamo, evitiamo boutade”.