“Anche se il timore avrà più argomenti, tu scegli la speranza”. Non ci poteva essere frase più azzeccata per aspettare, con uno spillo di fiducia in più, dalla Fortezza Bastiani del Pd, che qualcosa accada. La frase di Seneca l’ha scelta il sindaco di Firenze, Dario Nardella, scrivendo il suo ultimo appello ai concittadini e ai toscani per gridare una volta di più che “il modello vincente è della nostra Regione”. Il problema è che stavolta il deserto non è dei Tartari. All’orizzonte c’è davvero qualcuno. Il centrodestra sta dando l’assalto alla roccaforte toscana. Mai avvenuto, ma proprio nemmeno immaginato, in 50 anni di storia. Dal 1970 ad oggi, via di filata, una serie di presidenti di Regione targati sinistra (Pci) e poi centrosinistra.
E ieri sera, a testimonianza del testa a testa, c’erano due piazze piene nel centro storico di Firenze dove le coalizioni volevano dare prova di forza e di valori. Ad ascoltare il centrodestra con i big (Salvini, Meloni, Tajani più la lista Toscana civica) giovani e pensionati, gente comune. Una marea di tricolori. Tutti in piedi per il messaggio di Berlusconi, cori “Giorgia, Giorgia”, applausi per “Matteo siamo con te”. Dal Pd e soci clima più ordinato da norme anti Covid (tutti seduti) con simboli da primarie Usa (Bruce Springsteen come colonna sonora) e abbracci con i governatori toscani precedenti in prima fila. Della serie “La storia siamo noi”.
La Toscana non è solo un voto amministrativo per il quale cinque anni fa più della metà degli elettori preferì rimanere a casa. Stavolta si guarda all’affluenza per guadagnare un voto in più perché sotto lo striscione della vittoria si potrebbe arrivare vicini vicini. Davvero da fotofinish. Tanto che Susanna Ceccardi, candidata presidente del centrodestra, avversaria di Eugenio Giani, candidato guida della Toscana per il centrosinistra, accusa il Pd di essersi trasformato in tour operator “affittando pullman per portare gli anziani a votare”. Ma chi lo avrebbe mai detto che il destino della Toscana si sarebbe intrecciato a quello del governo nazionale, alla sorte del Nazareno, agli equilibri tra Salvini e Meloni? Pochissimi. Anche perché secondo gli analisti Giani partiva con un vantaggio di 8-10 punti nel febbraio scorso, prima del lockdown. Rosicchiati dalla ’leonessa di Cascina’ o dispersi dalla coalizione di centrosinistra (dalla sinistra ecologista al centro renziano) che si è risvegliata dal torpore solo dopo Ferragosto. Riflettori puntati sulla Toscana dunque.
La “foto di Firenze” dice tutto. All’inizio della campagna elettorale, in pochi avrebbero scommesso sul fatto che Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani avrebbero scelto la Toscana per il comizio finale, con tanto di telefonata di Silvio Berlusconi. Col passare delle settimane, però, la Regione è diventata “contendibile”. Se la candidata leghista Susanna Ceccardi sconfiggesse il dem Eugenio Giani diventerebbe il primo presidente toscano di centrodestra. Le Regionali si giocano lì. Sì, è vero, ballano anche la Puglia e le Marche, entrambe di centrosinistra, ma la Toscana sembra avere un peso specifico maggiore: un ribaltone potrebbe avere ripercussioni sulla guida del Pd e pure sul governo. Il test non riguarda direttamente il Movimento Cinque Stelle, che corre con una sua candidata, Irene Galletti. Per i pentastellati conta di più l’altra partita, quella del referendum sul taglio dei parlamentari. E’ una loro battaglia storica ma, per poter passare all’incasso, il Sì non solo dovrà vincere, ma dovrà farlo in maniera schiacciante. Salvini ha corso gli ultimi cento metri “toscani” giocando anche sul sarcasmo.
“Per 50 anni qui la partita nemmeno si giocava – ha detto – ora invece sono nervosetti, insultano, ma se insulti vuol dire che hai capito che devi preparare le valigie e che vai a casa”. Poi, sul palco fiorentino, grande sfoggio di ottimismo: “Si può fa’, il centrodestra unito e compatto può farcela”, ha esordito Giorgia Meloni. E siccome “Conte non rassegnerebbe le dimissioni – ha aggiunto – il presidente della Repubblica una riflessione dovrebbe farsela”. Il Cavaliere ha guardato oltre la Toscana: “Questa nostra coalizione vincerà in tutta Italia e lunedì festeggeremo nelle Marche, in Campania, in Veneto, ovunque”.
La replica di Zingaretti è stata in stile Berlinguer: “Combattiamo casa per casa per difendere il buongoverno e fermare la destra”. Non c’è solo la Toscana, comunque. Al voto va la Puglia, con il presidente di centrosinistra Michele Emiliano insidiato da Raffaele Fitto, di Fratelli d’Italia. E vanno le Marche, dove Maurizio Mangialardi prova a mantenere a sinistra la Regione, malgrado il centrodestra riponga buone speranze in Francesco Acquaroli. Tanto che, a dar manforte al proprio candidato, è arrivato Zingaretti, per il comizio finale. Meno suspense per le altre, dove i governatori uscenti sembrano ben avviati verso la riconferma: Vincenzo De Luca in Campania per il centrosinistra e per il centrodestra Luca Zaia in Veneto e Giovanni Toti in Liguria. Il segretario del Pd non collega pubblicamente l’esito del voto al suo destino alla guida del partito: “Il tema non è quello”, ha tagliato corto. Ma c’è già chi si diletta a disegnare scenari, con il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, in prima fila fra i papabili successori. E il governo? I leader di governo da giorni rispondono che, comunque vada, non ci saranno cambi, nemmeno rimpasti. Anche le forze di maggioranza ripetono lo stesso refrain. “Fino a che ci sono cose da fare – ha detto Zingaretti – si va avanti, se il governo si ferma la bici cade”.
E Di Maio: “Abbiamo tante cose da fare per questo Paese insieme. Abbiamo un governo da portare avanti”. Perfino il compagno di viaggio meno entusiasta, Matteo Renzi, si è allineato: “Non si mette continuamente in discussione il governo”.